Cassazione Civile, Sez. Lav., 02 gennaio 2020, n. 2 - Presidente: DI CERBO VINCENZO Relatore: BLASUTTO DANIELA
Fatto
1. La Corte di appello di Milano, con sentenza n. 579/15, confermava la
pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta a titolo di
risarcimento del danno extracontrattuale per perdita del rapporto parentale da
L.C., quale madre e unica erede di A.F., dipendente della società Ritras in
liquidazione dal 12 dicembre 2006, deceduto nell'espletamento del suo lavoro di
autista di autotreni la notte del 9 febbraio 2007 a causa di un grave incidente
stradale, verificatosi in corrispondenza di una deviazione della carreggiata
quando il pesante mezzo a pieno carico urtava contro il guard-rail e dopo altre
collisioni subiva il ribaltamento e causava il decesso del conducente.
2. Il Tribunale di Milano aveva respinto la domanda, sulla base dei seguenti
argomenti:
- i capitoli della prova testimoniale erano in parte generici e in parte
costituiti da valutazioni personali espresse a suo tempo dal A.F. e dalla
persona che di quelle osservazioni era stata la destinataria e avrebbe dovuto
deporre de relato;
- in ogni caso, i dati emergenti dal disco cronotachigrafo avevano evidenziato
che il viaggio era iniziato oltre tredici ore prima dell'incidente e il
conducente aveva tenuto un comportamento imprudente nell'effettuare solo brevi
periodi di sosta e procedendo ad una velocità superiore (di 30 km orari) al
limite di velocità imposto sul luogo, così contravvenendo a norme di comune
prudenza da considerarsi patrimonio di ogni conducente, in particolare per i
tempi di guida dei conducenti professionisti.
3. La Corte di appello rigettava l'impugnazione, incentrata sulla imputabilità
alla società appellata di una responsabilità colposa per avere costretto il
dipendente a guidare in condizione di grave affaticamento e velocità non
prudenziale. In sintesi, osservava quanto segue:
- dai rilievi del rapporto della polizia stradale era emersa l'eccessiva
velocità del mezzo in relazione all'orario notturno e allo stato dei luoghi e in
relazione al presumibile stato di non perfetta vigilanza del conducente; non vi
era prova che tale condotta fosse riconducibile a istruzioni o ordini impartiti
circa la necessità di consegnare la merce a destinazione entro le ore 5,00 del
mattino;
- la mancata ammissione delle istanze istruttorie era giustificata dalla
genericità dei capitoli della prova testimoniale, in quanto l'unica circostanza
specifica era diretta ad accertare che la notte stessa del sinistro, verso le
ore 2,0, il A.F. avesse telefonato ad un'amica comunicandole che era molto
stanco e che non poteva fermarsi a riposare perché doveva condurre la merce
trasportata a destinazione entro le ore 5,00 del mattino; tuttavia, tale
circostanza costituiva una circostanza che, quand'anche confermata, sarebbe
stata appresa de relato e come tale costituirebbe un mero elemento indiziario da
comprovare a mezzo di altri elementi;
- sulla richiesta di ammissione della produzione della "carta del conducente"
(documento da cui si sarebbero potuti accertare gli spostamenti e i turni di
guida della vittima nei ventotto giorni precedenti il sinistro letale),
occorreva considerare che il documento era già nella disponibilità dell'attrice
fin dal momento in cui ricevette gli oggetti personali del figlio, per cui non
era giustificabile il ritardo della sua produzione in giudizio, da cui
l'inammissibilità della produzione stessa.
4. Per la cassazione di tale sentenza la L.C. ha proposto ricorso affidato a tre
motivi. A seguito della notifica del ricorso per cassazione, la soc. Ritras in
liquidazione ha notificato ritualmente il proprio controricorso in data 20
aprile 2015.
5. In prossimità dell'udienza la ricorrente ha depositato memoria ex art. 378
cod. proc. civ., corredata da visura camerale, da cui risulta che in data 6
marzo 2017 la società Ritras s.r.l. è stata cancellata dal registro delle
imprese.
Diritto
1. Preliminarmente, nel giudizio di cassazione, che è dominato dall'impulso di
ufficio, non sono applicabili le comuni cause interruttive previste dalla legge
in generale, sicché la cancellazione dal registro delle imprese della società
resistente, in data successiva alla proposizione del ricorso ed alla stessa
costituzione in giudizio della società, non determina l'interruzione del
processo, (ex plurimis, Cass. 3323 del 2014; v. pure Cass. 24635 del 2015).
Anche recentemente è stato ribadito che l'avvenuta cancellazione dal registro
delle imprese della società, dopo la proposizione del ricorso per cassazione,
debitamente comunicata dal suo difensore, non è causa di interruzione del
processo (Cass. n. 2625 del 2018).
1.1. Nel caso in esame, la cancellazione è avvenuta dopo la notifica del ricorso
per cassazione e dopo la notifica del controricorso e precisamente in epoca
compresa tra il deposito del controricorso della soc. Ritras in liquidazione e
l'odierna udienza di discussione. Trova applicazione allora la regola dell'ultrattività
del mandato alla lite. Per effetto del principio della cosiddetta perpetuatio
dell'ufficio di difensore (di cui è espressione l'art. 85 cod. proc. civ.),
nessuna efficacia può dispiegare, nell'ambito del giudizio di cassazione
(oltretutto caratterizzato da uno svolgimento per impulso d'ufficio), il
sopravvenire del suddetto evento. Per il principio dell'"ultrattività del
mandato", il difensore a suo tempo regolarmente investito del mandato a
difendere la società nel giudizio di cassazione continua a rappresentare la
parte come se l'evento non si fosse verificato. Per lo stesso motivo, è rituale
anche l'avviso di cancelleria relativo alla fissazione dell'udienza odierna
comunicato allo stesso difensore.
2. Tanto premesso e venendo all'esame del ricorso, il primo motivo denuncia
violazione e falsa applicazione dell'art. 2724 cod. civ. (art. 360 n. 3 cod.
proc. civ.) per essere stato negato l'ingresso alla prova testimoniale pur a
fronte di una situazione in cui vi era stata una difficoltà di ricostruire, per
documentale, l'esatta dinamica del sinistro, così affidata ai soli elementi
raccolti dalla polizia stradale, che si era limitata a rilevare la velocità del
veicolo, lo stato dei luoghi e la non perfetta vigilanza del conducente (desunta
dalla presenza nell'abitacolo di bevande contenenti un alto contenuto di
caffeina). A fronte di tale incompleto quadro relativo alla ricostruzione dei
fatti, i giudici di merito avrebbero dovuto ammettere la prova testimoniale su
circostanze di evidente attinenza ai fatti di causa e tendenti a dimostrare il
comportamento che la società pretendeva dal suo dipendente. Del pari, la
ritenuta tardività della produzione della "carta del conducente", dovuta al
mancato pronto reperimento del documento tra gli effetti personali della
vittima, ometteva di considerare le circostanze di grave turbamento e dolore in
cui versava la ricorrente, così giungendo a trascurare un elemento documentale
di grande rilievo per comprovare le modalità di espletamento della prestazione
lavorativa negli ultimi giorni anteriori al sinistro.
3. Con il secondo motivo si denuncia violazione ed erronea valutazione dell'art.
230 cod. proc. civ. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) per avere la Corte
territoriale disatteso anche l'istanza istruttoria formulata in primo grado e
reiterata in appello vertente sul formale interrogatorio del legale
rappresentante della società convenuta su tutte le circostanze sulle quali si
era formulata la richiesta di prova testimoniale. L'interrogatorio, come mezzo
tendente alla confessione della parte cui è deferito, è sempre ammissibile
purché sia concludente ed influente il mancato accoglimento dell'istanza
istruttoria ha portato i giudici di merito a ritenere che l'incidente fosse
stato determinato da esclusiva colpa del conducente, ma a tale conclusione si
era giunti attraverso il rifiuto di qualsiasi indagine che avrebbe potuto
fornire una visione diversa dei fatti di causa.
4. Con il terzo motivo si denuncia violazione e mancata applicazione dell'art.
2087 cod. civ. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.). L' imprenditore è da ritenere
responsabile di incidenti che possano verificarsi al lavoratore non solo in
conseguenza del mancato approntamento di idonee misure protettive, ma anche per
il mancato utilizzo di quelle eventualmente già approntate, tenuto conto della
possibile condotta il lavoratore (Cass. civ. 7328 del 2004). Anche la cassazione
penale ha riconosciuto la penale responsabilità degli amministratori di ditta di
autotrasporti per avere costretto un conducente, loro dipendente, a turni
massacranti tali da provocare un pesante stress da lavoro correlato ad un
conseguente crollo fisico (Cass. pen. 2180 del 2010). I giudici di merito sono
altresì incorsi in una contraddizione logico-giuridica per avere affermato che
il A.F. era in viaggio da dodici ore, così implicitamente riconoscendo il
superamento del limite massimo di guida che, secondo l'art. 6, n. 1 e 2 del
Regolamento CEE 3820/1985 è di nove ore giornaliere, limite che non può essere
superato più di tre volte in una settimana. Si è in presenza di una condotta
omissiva del datore di lavoro nella verifica delle condizioni psicofisiche del
dipendente, nell'uso di mezzi e della loro efficienza, già di per sé prevedibile
causa di sinistri stradali ed infortuni sul lavoro, e sussiste un nesso di
causalità adeguata per una condizione lavorativa stressante e l'infortunio
lavorativo. Non è stato debitamente considerato che la responsabilità del datore
di lavoro è esente solo quando sono presenti a carico del dipendente i caratteri
della abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento
lavorativo, sì da costituire causa esclusiva dell'evento (Cass. n. 1159 del
2008).
5. Il ricorso non può trovare accoglimento.
6. In via generale, va osservato che la domanda di risarcimento dei danni
proposta "iure proprio", cioè, quali soggetti estranei al rapporto di lavoro,
dai congiunti del lavoratore deceduto, anche se la morte del dipendente sia
derivata da inadempimento contrattuale del datore di lavoro verso il dipendente
ex art. 2087 cod. civ., trova la sua fonte esclusiva nella responsabilità
extracontrattuale di cui all'art. 2043 cod. civ.. L'attuale ricorrente ha
infatti agito per il ristoro dei danni da perdita del rapporto parentale,
individuando i profili di colpa della società datrice di lavoro in violazione
dell'art. 2087 cod. civ. nei confronti del figlio. Il ricorso al catalogo della
colpa di cui all'art. 2087 cod. civ., tuttavia, non esclude che la regola
dell'onere probatorio inerente all'azione avviata dalla stessa L.C. (iure
proprio) in questo giudizio debba comunque seguire il proprio ambito, a nulla
rilevando che l'azione ex art. 2087 cod. civ. ha natura contrattuale ed è
soggetta alla presunzione di colpa della parte datrice, cui spetta l'onere di
dimostrare l'assenza di rimproverabilità soggettiva: in altre parole, la
circostanza che l'azione aquiliana, oggetto di questo giudizio, individui il
nucleo dell'elemento soggettivo del convenuto in una "porzione" di un'azione
contrattuale, soggetta a regole probatorie differenti, non sposta il relativo
onere, ex art. 2697 cod. civ. (cfr. Cass. n. 10578 del 2018, in motivazione).
7. La questione centrale del presente giudizio è costituita dalla mancata
ammissione della prova testimoniale da parte del giudice di primo grado, con
statuizione confermata in appello. La ricorrente ha addotto le ragioni che
avrebbero dovuto indurre ad ammettere tale prova, individuando i punti salienti
che con essa intendeva dimostrare e la decisività degli stessi. Assume infatti
che la prova era intesa a dimostrare le modalità di organizzazione del lavoro
imposte dalla parte datoriale al proprio dipendente, con i suoi riflessi sulle
modalità di espletamento della prestazione lavorativa, di "autista di
autotreni", svolta dal congiunto. Ci si riferiva alla intensificazione dei ritmi
di lavoro nel periodo precedente il sinistro, alla inosservanza di adeguati
tempi di riposo in relazione all'orario di lavoro imposto dalle lunghe
percorrenze, alle direttive da rispettare circa gli obblighi di consegna delle
merci, alla condizione di stress lavorativo rappresentata dal A.F.. Si sostiene
che da tali circostanze, ove provate, i giudici di merito ben avrebbero potuto
desumere la colpa datoriale, di ordine omissivo o commissivo, per violazione
delle tutele di cui all'art. 2087 cod. civ..
8. La censura, benché ammissibile, non può trovare accoglimento.
8.1. Nel caso specifico, la Corte di appello, ancorché con sintetica
motivazione, ha condiviso il giudizio già espresso dal primo giudice circa il
carattere generico delle circostanze oggetto dei capitoli di prova, mentre
l'unico fatto compiutamente collocato nel tempo e nello spazio riguardava il
capitolo vertente sulla audizione di una teste che avrebbe dovuto deporre circa
l'avere appreso de relato dallo stesso A.F., telefonicamente, poche ore prima
del sinistro, del suo stato di affaticamento e della necessità di consegnare la
merce entro le ore 5 del mattino.
8.2. Circa il primo passaggio motivazionale, va ribadito il principio per cui le
prove per interrogatorio formale e per testi, secondo quanto richiesto negli
artt. 230 e 244 cod. proc. civ. devono essere dedotte per articoli separati e
specifici (Cass. n. 12292 del 2011). La richiesta di provare per testimoni un
fatto esige non solo che questo sia dedotto in un capitolo specifico e
determinato, ma anche che sia collocato univocamente nel tempo e nello spazio,
al duplice scopo di consentire al giudice la valutazione della concludenza della
prova ed alla controparte la preparazione di un'adeguata difesa (cfr., Cass.n.
9547 del 2009, n.20997 del 2011, Cass. n. 1808 del 2015). Inoltre, il giudice
può sempre rilevare d'ufficio l'inammissibilità della prova che verta su
apprezzamenti e valutazioni del teste, piuttosto che su fatti specifici a
conoscenza dello stesso, in quanto la prova sarebbe comunque inutilizzabile dal
giudice, che non può legare il suo convincimento ai giudizi dei testimoni (Cass.
n. 8620 del 1996).
8.3. In punto di diritto, non può ritenersi viziata la sentenza che nel
rigettare l'istanza di ammissione della prova testimoniale fondi la stessa sul
giudizio di genericità dei capitoli, in quanto privi dei requisiti
circostanziali che ne avrebbero consentito una precisa collocazione nel tempo e
nello spazio.
8.4. Quanto alla mancata ammissione della deposizione testimoniale de relato,
come è noto, in tema di prova testimoniale, i testimoni de relato in genere
(diversamente dai testimoni de relato actoris sono quelli che depongono su fatti
e circostanze di cui sono stati informati dal soggetto che ha proposto il
giudizio, così che la rilevanza del loro assunto è sostanzialmente nulla, in
quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte e non sul fatto
oggetto dell'accertamento, fondamento storico della pretesa) depongono su
circostanze che hanno appreso da persone estranee al giudizio, quindi sul fatto
della dichiarazione di costoro, e la rilevanza delle loro deposizioni, pur
attenuata perché indiretta, è idonea ad assumere rilievo ai fini del
convincimento del giudice, nel concorso di altri elementi oggettivi e
concordanti che ne suffragano la credibilità (Cass. n. 569 del 2015). La Corte
di appello non ha violato alcuna regola giuridica laddove ha ritenuto che la
testimonianza de relato non potesse costituire, da sola, prova sufficiente a
fondare la dimostrazione della colpa datoriale per le condizioni di stress
lavorativo in cui il A.F. sarebbe stato costretto a lavorare nei tempi
immediatamente precedenti il triste evento.
8.5. Circa la mancata ammissione di documento "carta del conducente", la
sentenza di appello ne ha ritenuto la tardività in quanto produzione soggetta
alle preclusioni istruttorie poste dall'art. 183, comma 6, cod. proc. civ.. La
censura sul punto è del tutto generica e non investe la regola processuale di
cui la sentenza impugnata ha fatto applicazione.
9. Quanto al terzo motivo, esso involge la questione dell'assegnazione dei
carichi di lavoro con riferimento agli effetti lesivi della integrità fisica e
morale dei lavoratori che possano derivare dalla inadeguatezza del modello
organizzativo adottato dall'imprenditore con le proprie direttive e disposizioni
interne.
9.1. L'esame della questione resta assorbito nel presente giudizio di
cassazione, in quanto precluso dalle ragioni di ordine processuale (per le
regole di ammissione delle prove) e sostanziali (in ordine al riparto degli
oneri probatori ex art. 2697 cod. civ. , in relazione all'azione proposta ex
art. 2043 cod. civ.) che precedono, di carattere pregiudiziale ed assorbente.
10. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura
indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese
forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la
prestazione, ai sensi dell'art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
11. Dagli atti prodotti dalla stessa ricorrente, risulta che è stata rigettata
la sua richiesta di ammissione al gratuito patrocinio (documento depositato in
cancelleria il 7 luglio 2015). Di tanto va dato atto ai fini del raddoppio del
contributo unificato, introdotto dall'art. 1, comma 17, della I. n. 228 del
2012, che costituisce una obbligazione di importo predeterminato che sorge ex
lege per effetto del rigetto dell'impugnazione, della dichiarazione di
improcedibilità o di inammissibilità della stessa.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
del presente giudizio, che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 3.500,00
per compensi professionali, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente,
dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per
il ricorso, a norma del comma l-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 9 luglio 2019
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