Penale Sent. Sez. 4 Num. 14281 Anno 2019 Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: RANALDI ALESSANDRO Data Udienza: 31/01/2019
Fatto
1. Con sentenza del 3.5.2016 la Corte di appello di Napoli ha
confermato la sentenza di primo grado che ha dichiarato la responsabilità di
A.G. e R.G. per il reato di omicidio colposo in danno di F.P., aggravato per la
violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Ai G. viene contestato, quali committenti, di avere omesso di sottoporre il
lavoratore agli accertamenti sanitari previsti dalla legge, di averlo adibito ad
un'attività del tutto incompatibile con le patologie dallo stesso sofferte,
omettendo di fornirgli adeguata formazione ed informazione dei rischi derivanti
dall'attività lavorativa cui lo stesso era adibito, in tal modo cagionando
colposamente il decesso del F.P. per ischemia cardiaca acuta e shock cariogeno
determinato dal grave sforzo fisico cui il medesimo fu sottoposto nel corso
dell'attività lavorativa.
La Corte territoriale ha ribadito la posizione di garanzia in capo ai G. proprio
in forza della loro posizione di committenti subappaltanti, che imponeva loro di
verificare che l'attività affidata fosse svolta in maniera da tutelare i
soggetti chiamati ad eseguirla.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorsi per cassazione, con unico atto,
i due imputati, lamentando quanto segue.
I) Osservano che è pacifico che il malcapitato F.P. non fosse dipendente della
ditta R.G., per cui non si comprende il motivo per cui gli odierni ricorrenti
dovrebbero rispondere del delitto in contestazione.
Rilevano che le ordinanze-ingiunzioni emesse dalla Direzione provinciale del
lavoro di Avellino ed annullate con sentenza del Tribunale contemplavano anche
la violazione della mancata preventiva verifica della sussistenza in capo al
lavoratore delle condizioni fisiche, perciò nel caso non vi è stata alcuna
violazione delle norme sulla ammissione al lavoro degli operai.
II) Deducono che che erroneamente è stata addebitata a A.G. la contitolarità di
fatto dell'impresa del fratello R.G., per la sola circostanza che egli fu il
primo ad essere contattato nella immediatezza dell'evento.
III) Osservano che non risponde al vero la circostanza che il F.P. fosse stato
sottoposto ad un grave sforzo durante il turno di lavoro, atteso che le
operazioni di scarico del camion avvenute con una gru non comportavano alcuno
sforzo fisico. Purtroppo, come emerge dalla attenta lettura del referto
autoptico, la causa dell'evento morte è ascrivitele alla grave patologia
cardiaca di cui il F.P. soffriva.
Diritto
1. I dedotti motivi di censura sono privi di pregio e, come tali, meritevoli di
rigetto.
2. Quanto al motivo sub I), si osserva che la sentenza di merito ben spiega che
i ricorrenti rispondono del reato non in ragione della sussistenza di un
rapporto di lavoro subordinato, ma in funzione della loro posizione di
committenti subappaltanti, per cui la censura in disamina, per come prospettata,
non coglie nel segno: nel caso non rileva che il F.P. non fosse formalmente un
dipendente della ditta R.G., in quanto i giudici di merito addebitano agli
imputati, quali committenti subappaltanti dell'opera, di non essersi assicurati
che gli operai utilizzati (o meglio, procurati, v. infra) dal subappaltatore
fossero quantomeno nelle condizioni minime per svolgere il lavoro loro
demandato.
Sotto questo profilo, la sentenza di merito ha accertato, in maniera congrua e
logica, che si trattava di lavoratori assunti "a giornata" per mezzo della
intermediazione del M., privo dei requisiti imprenditoriali minimi per assumere
lavoratori in quanto non titolare di impresa né munito di propria organizzazione
aziendale: il F.P. (così come gli altri prestatori d'opera) era stato reclutato
il mattino stesso, senza alcuna valutazione delle condizioni di salute del
medesimo e degli altri operai, nonché dei rischi connessi all'attività da
svolgere, ed in totale spregio delle misure di prevenzione inerenti alla
prestazione lavorativa.
In tale prospettiva, la Corte territoriale ha plausibilmente ricondotto
l'attività del M. in quella del c.d. "caporalato" (impiego di manodopera assunta
dall'appaltatore ma di fatto operante alle dipendenze del committente), punibile
ai sensi dell'art. 18 del d.lgs. n. 276/2003, ed idonea a realizzare la
posizione di garanzia in capo ai prevenuti proprio per la loro posizione di
committenti subappaltanti, che imponeva loro di verificare che l'attività fosse
svolta in maniera da tutelare i soggetti chiamati ad eseguirla.
La Corte territoriale ha correttamente e incensurabilmente rilevato che la
responsabilità dell'appaltante titolare di impresa edile esecutrice dei lavori
può essere esclusa solo in presenza di affidamento ad impresa competente e che
fornisca ogni garanzia in ordine all'arruolamento dei lavoratori ed
all'esecuzione dell'attività, condizioni la cui insussistenza era ben nota ai G.
sia per le modalità del tutto informali con cui fu affidato l'incarico, sia
perché nessuna verifica fu effettuata sulla consistenza imprenditoriale del M.,
sia per la condotta successiva all'evento, laddove si richiese agli altri operai
di riferire che il F.P. era deceduto durante un'escursione alla ricerca di
funghi.
In considerazione delle superiori argomentazioni, appaiono ultronee ed
irrilevanti le considerazioni dei ricorrenti circa l'intervenuto annullamento
delle ordinanze-ingiunzioni emesse dalla Direzione provinciale del lavoro di
Avellino contro la ditta dei G., secondo ragioni che non sono state riprodotte
nei ricorsi - in violazione del principio di autosufficienza - ma che comunque
non rilevano in questa sede, poiché attengono ad un separato e distinto
procedimento lavoristico avente natura e presupposti diversi rispetto al
procedimento penale di che trattasi.
3. Il motivo sub II) è inammissibile in quanto sviluppa essenzialmente censure
di merito, non consentite in questa sede.
La motivazione sul punto da parte della sentenza impugnata è comunque
esauriente, congrua e priva di evidenti aporie logiche, posto che la
contitolarità di fatto di A.G. nella ditta del fratello è stata riscontrata
sulla scorta di precisi dati fattuali: A.G. fu colui che richiese al M. di
procurare gli operai per l'attività di intonacatura e che fu contattato al
momento del verificarsi del sinistro; peraltro, su sua indicazione, fu suggerito
agli operai di dire che il malore del F.P. si era verificato mentre coglievano
funghi e non sul cantiere.
Si tratta di una ponderata e non arbitraria valutazione di merito, come tale non
sindacabile nella presente sede di legittimità.
4. Anche il motivo sub III) sviluppa essenzialmente censure di merito e non si
confronta con le precise indicazioni riportate in entrambe le sentenze di
merito, che hanno motivato in maniera impeccabile sia sullo sforzo fisico del
F.P., sia sul nesso causale tra l'attività lavorativa e il decesso.
In particolare, la Corte territoriale ha richiamato gli esiti dell'attività dei
consulenti e le dichiarazioni di un altro operaio presente nel cantiere, G.D.,
il quale aveva evidenziato che l'attività di scarico delle pedane di miscelato,
cui fu adibito nel pomeriggio il F.P., richiedeva un considerevole sforzo fisico
per posizionare le pedane cariche del materiale al fine di essere agganciate
alla gru; tale dato è stato logicamente collegato con la circostanza che subito
dopo lo spostamento della prima pedana il F.P. manifestò un momento di
abbattimento, venendo sollecitato dal collega a proseguire per poi perdere
conoscenza dopo poco tempo.
Il contesto e la successione dei fatti accertati, unitamente al parere degli
esperti medici, i quali avevano riscontrato nella vittima, a causa delle
patologie da cui era affetto, «un elevato rischio di morte cardiaca improvvisa e
ischemia miocardica acuta, soprattutto se il soggetto affetto è esposto a
condizioni che richiedono un aumento del "lavoro cardiaco": sforzi fisici
intensi, stress emotivi, anemia, ipossia, etc», hanno condotto i giudici di
merito, secondo una valutazione di elevata credibilità razionale, a riscontrare
la sussistenza del nesso di causa fra l'attività lavorativa esercitata ed il
decesso del F.P..
5. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle
spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 31 gennaio 2019