Civile Sent. Sez. L Num. 8580 Anno 2019 Presidente: DI CERBO VINCENZO Relatore: PONTERIO CARLA
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Relatore: PONTERIO CARLA Data pubblicazione: 27/03/2019
Fatto
1. La Corte d'appello di Roma, con sentenza n. 7017 depositata il 26.11.14, in
riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato ATAC s.p.a. e CO.TRA.L.
s.p.a., in solido, al risarcimento dei danni non patrimoniali domandati, iure
proprio e iure hereditatis, dagli eredi del sig. DV.A., deceduto per mesotelioma
pleurico.
2. La Corte di merito ha riconosciuto la legittimazione passiva della CO.TRA.L.
s.p.a., quale beneficiaria della scissione totale ai sensi dell'art. 2504 octies,
commi 2 e 3, c.c. applicabile ratione temporis, rilevando in fatto come il DV.A.
avesse lavorato dal 1963 al 1995 alle dipendenze del Consorzio Trasporti
Pubblici Lazio (Coirai); che dopo il 1995 il Consorzio aveva subito una
scissione totale mediante trasferimento del ramo d'azienda "trasporto
extraurbano su gomma" alla costituenda società Linee Laziali s.p.a. (ora, a
seguito di mutamenti di denominazione, CO.TRA.L. s.p.a.) e del ramo d'azienda
"trasporto su ferro" alla costituenda società Metroferro s.p.a. (ora, a seguito
di mutamenti di denominazione, ATAC s.p.a.).
3. La Corte territoriale, sulla base delle risultanze istruttorie e della
consulenza tecnica svolta, ha ritenuto dimostrato il danno subito dal
lavoratore, cioè la patologia di mesotelioma pleurico che ha causato il decesso,
la nocività dell'ambiente di lavoro per l'esposizione del dipendente
all'inalazione di fibre di amianto, il nesso causale tra tale condizione di
nocività e l'evento morte, l'inadempimento datoriale all'obbligo di prevenzione
sulla base delle conoscenze scientifiche acquisite all'epoca.
4. Ha quantificato il danno non patrimoniale iure hereditatis applicando le
tabelle per la liquidazione del danno biologico da invalidità permanente
elaborate dal Tribunale di Roma e riferite all'anno 2014; ha riconosciuto una
personalizzazione del danno, per le componenti di danno morale e danno da
perdita della vita, nella misura del 50% ed ha parametrato l'importo così
ottenuto ad un dodicesimo, in relazione all'intervallo di tempo intercorso tra
la diagnosi della malattia e il decesso, pari ad un mese. Ha liquidato, secondo
le medesime tabelle, il danno non patrimoniale iure proprio.
5. Avverso tale sentenza, ha proposto ricorso per cassazione la CO.TRA.L.
s.p.a., affidato a tre motivi, cui hanno resistito con controricorso ATAC s.p.a.
e gli eredi del sig. DV.A..
6. Tutte le parti hanno depositato memoria, ai sensi deH'art. 378 c.p.c..
Diritto
1. Col primo motivo di ricorso CO.TRA.L. s.p.a. ha censurato la sentenza, ai
sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia sugli effetti
formatisi in base all'art. 416, comma 3, c.p.c., a fronte della mancata
contestazione dell'eccezione di carenza di legittimazione passiva; nonché per
violazione dell'art. 112 c.p.c. e violazione del regime di cui all'art. 416,
comma 3, c.p.c..
2. Ha sostenuto come, a fronte dell'eccezione di difetto di legittimazione
passiva proposta dalla attuale ricorrente sia in primo grado e sia in appello,
nessuna contestazione fosse stata mossa dalle controparti nella prima difesa
utile, neanche sulla documentazione prodotta a sostegno dell'eccezione medesima,
e come la Corte di merito avesse errato nel non trarre, da tale condotta
processuale e dalla documentazione allegata, le dovute conseguenze quanto alla
prova della titolarità del rapporto di lavoro del DV.A., all'atto della
scissione del Consorzio, unicamente in capo a Metroferro s.p.a., poi Met.Ro.
s.p.a., ora ATAC s.p.a.
3. Col secondo motivo di ricorso la CO.TRA.L. s.p.a. ha dedotto, ai sensi
dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione, in sede di
liquidazione del danno, degli artt. 2043, 2059, 2056, 1223 e 1226 c.c..
4. Ha censurato i criteri di liquidazione del danno iure proprio e iure
hereditatis adottati dalla Corte d'appello a causa degli automatismi
risarcitori, sganciati da specifiche ragioni di personalizzazione rispetto ai
coefficienti standard; ha inoltre censurato la mancata utilizzazione, per la
quantificazione del danno iure proprio, della tabelle milanesi, ritenute
parametro di riferimento ai fini dell'art. 1226 c.c..
5. Col terzo motivo di ricorso la CO.TRA.L. s.p.a. ha dedotto, ai sensi
dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt.
2043, 2059 c.c., dell'art. 10, D.P.R. n. 1124 del 1965 e dell'art. 13, D.Lgs. n.
38 del 2000, per non avere la Corte d'appello detratto dal danno biologico
liquidato iure hereditatis la rendita riconosciuta e corrisposta dall'Inail alla
vedova del sig. DV.A..
6. Il primo motivo è infondato.
7. Risulta dalla sentenza impugnata come la chiamata in causa della CO.TRA.L.
s.p.a. fosse stata autorizzata dal Tribunale su richiesta svolta da Met.Ro.
s.p.a. (poi ATAC s.p.a.) nella memoria di costituzione in primo grado e sul
rilievo che detta società fosse "successore del Consorzio Trasporti Pubblici
Lazio - Coirai, per il quale il de cuius aveva prestato attività lavorativa". La
richiesta di Met.Ro. s.p.a. di chiamare in causa di CO.TRA.L. s.p.a. si fondava
sul presupposto logico dell'essere quest'ultima società legittimata passiva
rispetto alla domanda proposta dai ricorrenti (cfr. Cass., S.U., n. 23225 del
2016).
8. La tesi della società attuale ricorrente costituisce erronea applicazione del
principio di non contestazione che governa il rito speciale del lavoro e, dopo
la novella dell'art. 115 c.p.c. ad opera dell'art. 45, L. n. 69 del 2009, anche
quello ordinario. Difatti, il dato della esistenza della legittimazione passiva
della CO.TRA.L. s.p.a. costituiva fondamento della richiesta di chiamata in
causa avanzata dalla Met.Ro. s.p.a. (ed includeva, logicamente, la contestazione
dell'insussistenza della legittimazione passiva della società chiamata), sicché
la Met.Ro s.p.a. non aveva alcun onere di contestare le eccezioni e deduzioni
sollevate sul punto dalla società terza chiamata. Occorre avere ben presente che
l'operare del principio di non contestazione è volto a delimitare la materia
controversa, che sarà oggetto di accertamento istruttorio, e a tale fine non è
necessario che si contesti l'altrui contestazione. Questa Corte (sentenza n.
6183 del 2018) ha puntualizzato in proposito come "la contestazione da parte del
convenuto dei fatti già affermati o già negati nell'atto introduttivo del
giudizio non ribalta sull'attore l'onere di "contestare l'altrui contestazione",
dal momento che egli ha già esposto la propria posizione a riguardo".
9. Inammissibile deve giudicarsi la censura, oggetto del primo motivo di
ricorso, nella parte in cui investe la valutazione degli elementi probatori come
compiuta dalla Corte di merito al fine di affermare la legittimazione passiva
della CO.TRA.L. s.p.a., in quanto estranea all'ambito del dedotto error in
procedendo e tale da confluire nel vizio motivazionale, nel caso di specie non
dedotto e rispetto al quale difetterebbero i requisiti richiesti dal nuovo art.
360, comma 1, n. 5 c.p.c., applicabile ratione temporis (cfr. Cass., S.U. n.
8053 del 2014).
10. Il secondo motivo di ricorso è invece fondato quanto alla censura sul
risarcimento del danno iure hereditatis.
11. Esclusa (Cass., S.U., n. 15350 del 2015) la risarcibilità iure hereditatis
di un danno da perdita della vita, in ragione dell?assenza del soggetto al quale
sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito
il relativo credito risarcitorio, questa Corte ha ritenuto configurabile e
trasmissibile iure hereditatis il danno non patrimoniale nelle due componenti di
danno biologico "terminale", cioè di danno biologico da invalidità temporanea
assoluta, configurabile in capo alla vittima nell?ipotesi in cui la morte
sopravvenga dopo apprezzabile lasso di tempo dall?evento lesivo (Cass. n. 26727
del 2018; n. 21060 del 2016; n. 23183 del 2014; n. 22228 del 2014; n. 15491 del
2014) e di danno morale "terminale o catastrofale o catastrofico", ossia del
danno consistente nella sofferenza patita dalla vittima che lucidamente assiste
allo spegnersi della propria vita, quando vi sia la prova della sussistenza di
un suo stato di coscienza nell'intervallo tra l'evento lesivo e la morte, con
conseguente acquisizione di una pretesa risarcitoria trasmissibile agli eredi
(Cass. n. 13537 del 2014; n. 7126 del 2013; n. 2564 del 2012).
12. Quanto ai criteri di liquidazione, si è specificato (cfr., oltre alla
giurisprudenza già citata, Cass. n. 18163 del 2007; n. 1877 del 2006) che per la
componente di danno biologico la liquidazione può ben essere effettuata sulla
base delle tabelle relative all?invalidità temporanea, mentre per la seconda
componente, avente natura peculiare, la liquidazione deve affidarsi ad un
criterio equitativo puro - ancorché sempre puntualmente correlato alle
circostanze del caso concreto - che sappia tener conto della enormità del
pregiudizio, atteso che la lesione è così elevata da non essere suscettibile di
recupero e da esitare nella morte.
13. La Corte territoriale non si è attenuta ai principi appena richiamati in
quanto ha liquidato la componente di danno biologico spettante iure hereditatis
rapportandola non alla menomazione temporanea dell'Integrità psicofìsica patita
dal DV.A. per il periodo di tempo dalla diagnosi al decesso, bensì alla
invalidità permanente totale del medesimo, come se quest'ultimo fosse
sopravvissuto alla malattia per il tempo corrispondente alla sua ordinaria
speranza di vita. In conformità alla giurisprudenza sopra richiamata, ed a cui
si intende dare continuità, il danno biologico terminale, trasmissibile agli
eredi, deve essere calcolato avendo riguardo alla condizione di invalidità
temporanea sofferta nel periodo dalla diagnosi (o dall'evento lesivo) al
decesso, con conseguente liquidazione secondo i criteri tabellari riferiti
all'invalidità temporanea.
14. La censura, oggetto sempre del secondo motivo di ricorso, relativa alla
liquidazione del danno iure proprio da perdita di un congiunto effettuata dalla
Corte di merito senza esplicitare i criteri di personalizzazione rispetto al
valore base delle tabelle milanesi, non può invece trovare accoglimento.
15. Questa Corte ha affermato che in tema di liquidazione del danno non
patrimoniale, la denuncia in sede di legittimità della violazione delle tabelle
diffuse dal Tribunale di Milano ovvero dell'omesso esame di un fatto
specializzante idoneo a giustificare uno scostamento dalle stesse è ammessa
esclusivamente ove nel giudizio di merito la parte abbia prodotto tali tabelle
(o, almeno, ne abbia allegato il contenuto) e posto la questione
dell'applicazione dei relativi parametri (Cass. n. 27562 del 2017; n. 12397 del
2016; n. 24205 del 2014).
16. Nel caso di specie, la società ricorrente non ha in alcun modo allegato di
aver sollevato la questione nei precedenti gradi di giudizio né di aver prodotto
le tabelle del Tribunale di Milano che ha invocato quale parametro di corretta
valutazione equitativa, ai fini dell'art. 1226 c.c., rispetto a quelle di
Tribunale di Roma in concreto utilizzate dalla Corte territoriale.
17. La censura risulta poi priva della necessaria specificità in quanto si
limita genericamente a criticare l'entità del risarcimento riconosciuto nella
sentenza impugnata rispetto ad una misura (euro 163.990,00) di danno non
patrimoniale da perdita del congiunto che la ricorrente assume posta dalle
tabelle milanesi, e di cui non indica neanche la collocazione tra il minimo o il
massimo ivi previsto.
18. Peraltro, questa Corte (Ord. n. 913 del 2018; n. 9950 del 2017) ha escluso
che possa costituire violazione dei parametri di valutazione equitativa di cui
all'art. 1226 c.c. la liquidazione del danno non patrimoniale operata con
riferimento a tabelle diverse da quelle elaborate dal Tribunale di Milano,
qualora al danneggiato sia riconosciuto un importo corrispondente a quello
risultante da queste ultime, restando irrilevante la mancanza di una loro
diretta e formale applicazione. Difatti, l'esigenza di uniformità di trattamento
nella liquidazione del danno non patrimoniale, se può ritenersi certamente
garantita dal riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale
di Milano, ampiamente diffuso sul territorio nazionale ed a cui la Suprema Corte
(Cass. n. 20895 del 2015; n. 4447 del 2014; n. 12408 del 2011), in applicazione
dell'art. 3 Cost., riconosce la valenza in linea generale di parametro di
conformità della valutazione equitativa del danno non patrimoniale alle
disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c., tuttavia non può considerarsi
automaticamente pregiudicata dall'utilizzo di differenti criteri tabellari, come
nel caso di specie delle Tabelle del Tribunale di Roma, ove il giudice ritenga
che ricorrano elementi di valutazione atti a giustificare l'abbandono delle
tabelle milanesi e reputi congruo l'importo risarcitorio, anche in confronto al
risultato ottenibile mediante applicazione di queste ultime.
19. Il terzo motivo di ricorso, con cui si è denunciata la mancata detrazione,
dal danno non patrimoniale liquidato iure hereditatis, della rendita corrisposta
dall'Inail alla vedova del sig. DV.A., impone alcune considerazioni in ragione
dello ius superveniens di cui alla L. n. 145 del 30.12.2018 (G.U. del
31.12.2018), intervenuta dopo la deliberazione in camera di consiglio a seguito
della pubblica udienza tenuta da questo collegio il 28.11.2018 e prima della
pubblicazione della sentenza, che segna il momento di giuridica esistenza della
stessa, (esclusi i casi in cui vi è obbligo di lettura del dispositivo in
udienza; cfr. Cass. n. 26066 del 2014; n. 5855 del 2000; n. 14357 del 1999).
20. L'art. 1, comma 1126, della L n. 145 del 2018 (Bilancio di previsione dello
Stato per l?anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio
2019-2021), entrata in vigore l'1.1.2019, ha introdotto significative modifiche
degli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 1124 del 1965.
21. Per effetto di tali modifiche, i commi 6, 7 e 8 dell'art. 10 cit. risultano
formulati nel modo seguente:
"Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo
complessivamente calcolato per i pregiudizi oggetto di indennizzo, non ascende a
somma maggiore dell'indennità che a qualsiasi titolo ed indistintamente, per
effetto del presente decreto, è liquidata all?infortunato o ai suoi aventi
diritto.
Quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che
eccede le indennità liquidate a norma degli artt. 66 e seguenti e per le somme
liquidate complessivamente ed a qualunque titolo a norma dell'articolo 13, comma
2, lettere a) e b), del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38.
Agli effetti dei precedenti commi sesto e settimo l'indennità d'infortunio è
rappresentata dal valore capitale della rendita complessivamente liquidata,
calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39 nonché da ogni altra indennità
erogata a qualsiasi titolo".
22. L'art. 11 cit. è stato così modificato:
"L'istituto assicuratore deve pagare le indennità anche nei casi previsti dal
precedente articolo, salvo il diritto di regresso per le somme a qualsiasi
titolo pagate a titolo d'indennità e per le spese accessorie nei limiti del
complessivo danno risarcibile contro le persone civilmente responsabili. La
persona civilmente responsabile deve, altresì, versare all'Istituto assicuratore
una somma corrispondente al valore capitale dell'ulteriore rendita a qualsiasi
titolo dovuta, calcolato in base alle tabelle di cui all'art. 39 nonché ad ogni
altra indennità erogata a qualsiasi titolo.
La sentenza, che accerta la responsabilità civile a norma del precedente
articolo, è sufficiente a costituire l'Istituto assicuratore in credito verso la
persona civilmente responsabile per le somme indicate nel comma precedente.
Nella liquidazione dell'importo dovuto ai sensi dei commi precedenti, il giudice
può procedere alla riduzione della somma tenendo conto della condotta precedente
e successiva al verificarsi dell'evento lesivo e dell'adozione di efficaci
misure per il miglioramento dei livelli di salute e sicurezza sul lavoro. Le
modalità di esecuzione dell'obbligazione possono essere definite tenendo conto
del rapporto tra la somma dovuta e le risorse economiche del responsabile.
L'Istituto può, altresì, esercitare la stessa azione di regresso contro
l'infortunato quando l'infortunio sia avvenuto per dolo del medesimo accertato
con sentenza penale. Quando sia pronunciata la sentenza di non doversi procedere
per morte dell'imputato o per amnistia, il dolo deve essere accertato nelle
forme stabilite dal Codice di procedura civile".
23. La legge n. 145 del 2018 ha inciso sui criteri di calcolo del danno cd.
differenziale, modificando le voci da prendere in esame per determinare il
quantum che, secondo il disposto dell'art. 10, comma 6, "ascende a somma
maggiore dell'indennità liquidata all'infortunato o ai suoi aventi diritto";
correlativamente, è stato modificato il quantum di ciò che l'Istituto può
pretendere in via di regresso nei confronti del responsabile civile.
Sostanzialmente, la finanziaria del 2019 ha imposto, ai fini del calcolo del
danno differenziale, l'adozione di un criterio di scomputo "per sommatoria" o
"integrale", anziché "per poste", con conseguente diritto di regresso
dell'Istituto per "le somme a qualsiasi titolo pagate".
24. Deve quindi affrontarsi la questione della applicabilità nel presente
giudizio della nuova disciplina legislativa. Ciò richiede che si stabilisca,
anzitutto, la natura interpretativa o innovativa dell'art. 1, comma 1126 cit..
25. Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, il legislatore può
adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di
incertezze sull'applicazione di una disposizione o di contrasti
giurisprudenziali irrisolti, ma anche "quando la scelta imposta dalla legge
rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò
vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore" (Corte Cost. n. 525
del 2000; in senso conforme, sentenze n. 209 del 2010; n. 24 del 2009; n. 170
del 2008; n. 234 del 2007; n. 274 del 2006; n. 26 del 2003; n. 374 del 2002).
26. Al riguardo, deve sottolinearsi come l'attuale sistema indennitario Inail
sia frutto di una complessa stratificazione, realizzata attraverso l'intervento
sul testo originario di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965 di decisioni della Corte
Costituzionale (sentenze nn. 87, 356 e 485 del 1991) e di innovazioni normative
attuate col D.Lgs. n. 38 del 2000, che ha immesso nella tutela indennitaria
Inail una componente di danno biologico.
27. Da ciò consegue che la modifica apportata dalla legge n. 145 del 2018 sul
calcolo del danno differenziale (secondo il criterio dello scomputo integrale
anziché per poste), in quanto presuppone il riconoscimento di una struttura
bipolare del risarcimento del danno alla persona nelle sue componenti di danno
patrimoniale e non patrimoniale, non può avere enucleato una variante di senso
degli artt. 10 e 11 citati.
28. Un intervento normativo di interpretazione autentica non potrebbe neanche
dirsi giustificato in ragioni di insanabili incertezze e contrasti
interpretativi.
29. Deve, al contrario, darsi atto di un indirizzo giurisprudenziale
assolutamente consolidato e costante, quanto meno a partire dal 2015 (Cass. n.
9166 del 2017; n. 22862 del 2016; n. 13222 del 2015), che, ribadito il
fondamento costituzionale del risarcimento del danno biologico e della tutela
indennitaria Inail rispettivamente negli artt. 32 e 38 Cost., con la connessa
esigenza di protezione effettiva ed integrale della persona del lavoratore, ha
delineato in modo univoco la nozione di danno differenziale e dettato puntuali
criteri di calcolo dello stesso, accuratamente distinto dal danno cd.
complementare.
30. La natura interpretativa dell'art. 1, comma 1126 cit. deve, infine,
escludersi sia per l'assenza di una espressa autoqualificazione in tal senso di
tale disposizione e sia per la tecnica legislativa adoperata, che non ha reso
evidente un significato compatibile col testo del 1965 ma, al contrario, ha
inserito nell'originaria formulazione previsioni atte a modificarne il
contenuto, anche attraverso il richiamo all'autonomo testo normativo di cui al
D.Lgs. n. 38 del 2000.
31. Poste tali premesse, l'analisi della questione di applicabilità o meno
dell'art. 1, comma 1126 cit. ai giudizi pendenti deve essere svolta considerando
quest'ultima disposizione come norma innovativa della disciplina dettata dagli
artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 1124 del 1965.
32. La successione di norme giuridiche nel tempo è regolata nel nostro
ordinamento dall'art. 11 delle preleggi, che fìssa il principio di
irretroattività.
33. Tale principio "comporta che la norma sopravvenuta è inapplicabile, oltre
che ai rapporti giuridici già esauriti, anche a quelli ancora in vita alla data
della sua entrata in vigore, ove tale applicazione si traduca nel
disconoscimento di effetti già verificatisi ad opera del pregresso fatto
generatore del rapporto, ovvero in una modifica della disciplina giuridica del
fatto stesso", (Cass. n. 3845 del 2017).
34. Si è precisato che, in virtù del principio dell'irretroattività, "la legge
nuova non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauriti prima
della sua entrata in vigore, a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita se,
in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi del fatto passato o si
venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali e
future di esso. Lo stesso principio comporta, invece, che la legge nuova possa
essere applicata ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o
sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un
fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge,
debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi totalmente
dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che,
attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto
generatore" (Cass. n. 4890 del 2019; n. 17866 del 2016; n. 16039 del 2016; n.
16620 del 2013; n. 16395 del 2007; n. 14073 del 2002; n. 2433 del 2000).
35. Posto che il danno, nella sua composita struttura, costituisce conseguenza
dell'infortunio o della malattia professionale, e difatti il diritto al
risarcimento sorge in connessione causale e temporale con la commissione
dell'illecito, l'applicazione dell'art. 1, comma 1126 cit. ai giudizi in corso
comporterebbe una modifica degli effetti ricollegabili agli infortuni o alle
malattie professionali verificatisi o denunciati prima dell'entrata in vigore
della stessa.
36. Nel sistema vigente prima della legge finanziaria del 2019, il danno
differenziale (cd. quantitativo per distinguerlo da quello qualitativo o
complementare, cfr. Cass. n. 9166 del 2017), concepibile unicamente per il
surplus di risarcimento dei medesimi pregiudizi oggetto di tutela indennitaria
Inail e in presenza dei presupposti di esclusione dell'esonero del datore di
lavoro ("permane la responsabilità civile a carico di coloro che hanno riportato
condanna penale per il fatto dal quale l'infortunio è derivato...", art. 10,
comma 2, D.P.R. n. 1124 del 1965), era calcolato, coerentemente alla struttura
bipolare del danno-conseguenza, secondo un computo per poste omogenee, vale a
dire che dalle singole componenti, patrimoniale e biologico, di danno
civilistico spettante al lavoratore venivano detratte distintamente le indennità
erogate dall'Inail per ciascuno dei suddetti pregiudizi.
37. Si è affermato, ad esempio, come dall'ammontare complessivo del danno
biologico dovesse detrarsi non già il valore capitale dell'intera rendita
costituita dall'INAIL, ma solo il valore capitale della quota di essa destinata
a ristorare, in forza dell'art. 13 del D.lgs. n. 38 del 2000, il danno
biologico, con esclusione, invece, della quota rapportata (per menomazioni di
grado pari o superiore al 16%) alla retribuzione ed alla capacità lavorativa
dell'assicurato, volta all'indennizzo del danno patrimoniale, (Cass. n. 20807
del 2016, n. 13222 del 2015).
38. Correlativamente, il diritto di regresso dell'Inail nei confronti del
responsabile civile poteva esercitarsi, in presenza dei presupposti escludenti
l'esonero, per le indennità erogate al lavoratore ma nei limiti delle somme
versate dal datore in relazione al ristoro dei singoli pregiudizi.
39. La legge n. 145 del 2018, art. 1, comma 1126, ha invece reso indifferente la
natura (biologica o patrimoniale) delle voci del risarcimento del danno
civilistico e dell'indennità Inail tra cui operare la detrazione ai fini del
calcolo del danno differenziale; così ridefinendo il danno differenziale come il
risultato ottenuto sottraendo dal risarcimento "complessivamente calcolato per i
pregiudizi oggetto di indennizzo", la "indennità che, a qualsiasi titolo ed
indistintamente ... è liquidata all'infortunato o ai suoi aventi diritto".
L'obbligo risarcitorio del datore di lavoro, ove non operi l'esonero, comprende
ora unicamente la parte che eccede tutte le indennità liquidate dall'Inail, ai
sensi dell'art. 66 del T.U. e dell'art. 13, D.Lgs. n. 38 del 2000.
40. La legge finanziaria del 2019, nel mutare i criteri di calcolo del danno
differenziale rendendo indistinte le singole poste (di danno biologico e
patrimoniale) oggetto specularmente di risarcimento civilistico e di tutela
indennitaria Inail, ha direttamente inciso sul contenuto di danno differenziale,
cioè sulle componenti dello stesso, con inevitabili ripercussioni sulla
integralità del risarcimento del danno alla persona, principio costantemente
ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. per tutte Cass., S.U., n.
26972 del 2008).
41. L'applicazione del citato art. 1, comma 1126 nei giudizi in corso
determinerebbe, in base a quanto detto, il disconoscimento di effetti,
riconducibili agli infortuni verificatisi e alle malattie denunciate prima
dell'1.1.19, già prodotti dai suddetti fatti generatori e si porrebbe, quindi,
in violazione del divieto di retroattività di cui all'art. 11 delle preleggi.
42. Non può validamente richiamarsi, a sostegno della retroattività, la
giurisprudenza in materia di criteri generali equitativi di risarcimento del
danno.
43. Questa Corte, a proposito delle tabelle di liquidazione dei danni non
patrimoniali, ha affermato l'obbligo di utilizzare i parametri vigenti al
momento della decisione, osservando come "la liquidazione effettuata sulla base
di tabelle non più attuali si risolve in una non corretta applicazione del
criterio equitativo previsto dall'art. 1226 c.c." (Cass. n. 25485 del 2016; n.
7272 del 2012).
44. Nel caso in esame, non è questione di parametro equitativo per cui è
ritenuto appropriato il riferimento all'attualità, ma di disposizioni di legge
rispetto a cui opera il divieto di retroattività.
45. Peraltro, analizzando la L. n. 145 del 2018 dal punto di vista letterale,
deve rilevarsi come non solo manchi qualsiasi statuizione espressa nel senso
della retroattività, ma vi siano previsioni che depongono in senso contrario.
46. L'art. 1, comma 1126, stabilisce: "In relazione alla revisione delle tariffe
operata ai sensi dell'articolo 1, comma 128, della legge 23 dicembre 2013, n.
147, con decorrenza dal 1° gennaio 2019 e dei criteri di calcolo per
l'elaborazione dei relativi tassi medi, sono apportate a decorrere da tale data
le seguenti modificazioni".
47. La data di decorrenza dall'l.1.2019 è espressamente indicata e ripetuta in
riferimento sia alla revisione delle tariffe e dei criteri di calcolo per
l'elaborazione dei relativi tassi medi e sia quanto alle modifiche apportate
agli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 1124 del 1965, come peraltro specificato nella
relazione alla legge di bilancio 2019 (Dossier 27.12.2018, voi. II, A.C.
1334-B), con apposita sottolineatura ("Il comma 1126 prevede, con decorrenza dal
2019, alcune modifiche alla disciplina sulla tutela assicurativa contro gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali, nonché con riferimento ad
alcuni settori, modifiche relative al livello dei premi Inail").
48. L'applicabilità delle modifiche normative ai giudizi in corso risulterebbe
distonica anche rispetto ai criteri di ragionevolezza e di interpretazione
logico sistematica, in quanto, come emerge dallo stesso incipit del comma 1126
sopra riportato, la modifica dei criteri di calcolo del danno differenziale è
stata adottata a fronte della revisione delle tariffe che opera con decorrenza
dall'l.1.19.
49. E' significativa la circolarità che la stessa legge di bilancio sembra
tracciare tra la riduzione delle tariffe dovute dai datori di lavoro, la
modifica del calcolo del danno differenziale spettante al lavoratore in modo da
sottrarre le indennità a qualsiasi titolo versate dall'Inail e l'inclusione di
tutte queste indennità nello spazio in cui può operare il diritto di regresso
dell'Inail.
50. Posto che la riduzione delle tariffe decorre dall'l. 1.19, sarebbe logico
che le modifiche introdotte per calibrare i minori introiti dell'Istituto
avessero medesima decorrenza e coinvolgessero le conseguenze di infortuni e
malattie verificatisi o denunciati dopo la data suddetta.
51. La tesi di non applicabilità dell'art. 1, comma 1126 cit. ai giudizi
pendenti appare la sola coerente con i principi desumibili dalla Carta
costituzionale e dalla Carta Edu.
52. Infatti, sebbene il divieto di retroattività, che pure costituisce valore
fondamentale di civiltà giuridica, non abbia tutela costituzionale se non in
materia penale ai sensi dell'art. 25 Cost., il potere del legislatore di emanare
norme con efficacia retroattiva, anche di interpretazione autentica, è stato
riconosciuto "purché la retroattività trovi adeguata giustificazione
nell'esigenza
) di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che
costituiscono altrettanti -motivi imperativi di interesse generale-, ai sensi
della CEDU (Corte Cost. n. 170 del 2013; n. 78 del 2012; nn. 93 e 41 del 2011).
53. La Corte Costituzionale ha individuato una serie di limiti generali
aN'efficada retroattiva delle leggi attinenti alla salvaguardia di principi
costituzionali e di altri valori di civiltà giuridica, tra i quali sono
ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette
nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela
dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato
allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico; il
rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario
(Corte Cost. n. 170 del 2013; n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010).
54. Del tutto affini sono i principi in tema di leggi retroattive sviluppati
dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, in riferimento
all'art. 6 della CEDU.
55. La Corte di Strasburgo, infatti, ha ripetutamente affermato, con specifico
riguardo a leggi retroattive del nostro ordinamento, che in linea di principio
non è vietato al potere legislativo di stabilire in materia civile una
regolamentazione innovativa a portata retroattiva dei diritti derivanti da leggi
in vigore, ma il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo
equo sanciti dall'art. 6 della CEDU, ostano, salvo che per motivi imperativi di
interesse generale, all'ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione
della giustizia al fine di influenzare l'esito giudiziario di una controversia
(pronunce 11 dicembre 2012, De Rosa contro Italia; 14 febbraio 2012, Arras
contro Italia; 7 giugno 2011, Agrati contro Italia; 31 maggio 2011, Maggio
contro Italia; 10 giugno 2008, Bortesi contro Italia; Grande Camera, 29 marzo
2006, Scordino contro Italia). La Corte di Strasburgo ha altresì rimarcato che
le circostanze addotte per giustificare misure retroattive devono essere intese
in senso restrittivo (pronuncia 14 febbraio 2012, Arras contro Italia) e che il
solo interesse finanziario dello Stato non consente di giustificare l'intervento
retroattivo (pronunce 25 novembre 2010, Lilly France contro Francia; 21 giugno
2007, Scanner de l?Ouest Lyonnais contro Francia; 16 gennaio 2007, Chiesi S.A.
contro Francia; 9 gennaio 2007, Arnolin contro Francia; 11 aprile 2006,
Cabourdin contro Francia). Viceversa, lo stato del giudizio e il grado di
consolidamento dell'accertamento, /'imprevedibilità dell'intervento legislativo
e la circostanza che lo Stato sia parte in senso stretto della controversia,
sono tutti elementi considerati dalla Corte europea per verificare se una legge
retroattiva determini una violazione deii'art. 6 della CEDU: sentenze 27 maggio
2004, Ogis Institut Stanislas contro Francia; 26 ottobre 1997, Papageorgiou
contro Grecia; 23 ottobre 1997, National & ProvinciaI Building Society contro
Regno Unito. Le sentenze da ultimo citate, pur non essendo direttamente rivolte
all'Italia, contengono affermazioni generali, che la stessa Corte europea
ritiene applicabili oltre il caso specifico e che questa Corte considera
vincolanti anche per l'ordinamento italiano, (Corte Cost. n. 170 del 2013 e
altre Ivi richiamate; cfr. anche Corte Cost. n. 12 del 2018; n. 127 del 2015; n.
303 del 2011; n. 24 del 2009).
56. La tutela dell'integrità psico-fisica dei lavoratori, suscettibile di dar
luogo al risarcimento dei danni conseguenza secondo la modalità del danno
biologico, (cfr. Cass., S.U., n. 26972 del 2008), elevata a diritto inviolabile
ai sensi dell'art. 32 Cost., appare certamente idonea ad integrare i "principi
costituzionali" ed i valori di civiltà giuridica che si pongono quale ostacolo
all'efficacia retroattiva delle disposizioni in esame.
57. D'altra parte, fatta eccezione per le ipotesi di norme autoqualificatesi
come retroattive e ritenute compatibili con i principi costituzionali e
sovranazionali (cfr. Corte Cost. n. 303 del 2011; cfr. anche Cass. n. 12625 del
2006; n. 14357 del 1999; S.U. n. 494 del 1998, sui nuovi criteri di liquidazione
del danno da occupazione appropriativa), la giurisprudenza di legittimità ha
costantemente interpretato le leggi modificative dei criteri legali di
quantificazione del danno come operanti in relazione a fatti generatori
successivi all'entrata in vigore delle leggi stesse.
58. Ad esempio, le modifiche ai criteri di calcolo del danno da illegittima
apposizione del termine ai contratti di lavoro, introdotte dall'art. 28, D.Lgs.
n. 81 del 2015, in assenza di una espressa previsione di applicazione ai giudizi
pendenti, sono state ritenute applicabili solo ai contratti stipulati
successivamente all'entrata in vigore del decreto legislativo, avendo carattere
innovativo (Cass. n. 21069 del 2015). Nella sentenza n. 17866 del 2016 si è
affermato: la nuova previsione ... è applicabile solo ai fatti generatori della
(nuova) responsabilità risarcitoria, successivi all'entrata in vigore della
nuova disciplina, e quindi alle ipotesi di illegittima apposizione del termine
verificatesi dopo tale data.
59. In senso analogo, l'art. 1, comma 42 della legge n. 92 del 2012, che ha
modificato l'art. 18 della L. n. 300 del 1970, è stato considerato applicabile
solo ai nuovi licenziamenti, ossia a quelli comunicati a partire dai 18 luglio
2012, data di entrata in vigore della nuova disciplina, (Cass. n. 16265 del
2015).
60. Deve quindi affermarsi che le modifiche dell'art. 10 del D.P.R. n. 1124 del
1965, introdotte dall'art. 1, comma 1126, della L. n. 145 del 2018, non possono
trovare applicazione in riferimento agli infortuni sul lavoro verificatisi e
alle malattie professionali denunciate prima dell'l. 1.2019, data di entrata in
vigore della citata legge finanziaria; quindi la novella in esame non ha rilievo
nel presente procedimento che ha ad oggetto una malattia professionale
denunciata prima dell'entrata in vigore della legge n. 145 del 2018.
61. Il terzo motivo di ricorso, da esaminare secondo il testo previgente
dell'art. 10, D.P.R. del 1964, risulta infondato.
62. Il danno non patrimoniale spettante iure hereditatis non rientra tra le voci
indennizzabili dall'Inail e si colloca, pertanto, tra i danni cd. complementari,
rispetto ai quali non si pone un problema attinente ai criteri di scomputo;
peraltro, la prestazione economica che la legge pone a carico dell'ente
previdenziale in caso di morte del lavoratore assicurato, cioè la rendita in
favore dei superstiti, costituisce risarcimento del danno patrimoniale subito in
dipendenza della morte del congiunto (cfr. Cass. n. 6306 del 2017; n. 19560 del
2003), ed attiene quindi ad una voce eterogenea rispetto al danno non
patrimoniale riconosciuto nel caso in esame iure hereditatis, come tale neanche
astrattamente scomputabile secondo l'indirizzo consolidato sopra richiamato che
esige, comunque, la omogeneità dei pregiudizi e delle corrispondenti poste.
63. Per tutte le considerarsi finora svolte, deve trovare accoglimento la
censura oggetto del secondo motivo di ricorso, con rigetto dei residui motivi e
censure. La sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio alla Corte
d'appello di Roma, in diversa composizione, che procederà ad una nuova
liquidazione del danno iure hereditatis, nella duplice componente di danno
biologico terminale e di danno morale o catastrofale, conformandosi ai principi
sopra enunciati, oltre che alla regolazione delle spese del giudizio di
legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione,
rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo
accolto e rinvia alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, cui
demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 28.11.2018 e l'11.3.2019
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