Cassazione Penale, Sez. 2, 18 gennaio 2019, n. 2217
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO Relatore: SGADARI GIUSEPPE Data Udienza:
12/12/2018
Fatto
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di
Messina, parzialmente riformando la sentenza del Tribunale di Messina del 14
dicembre 2015, confermava la responsabilità del ricorrente in ordine al reato di
estorsione ascrittogli al capo a) della imputazione, per avere costretto con
minacce DB.A., dipendente della Athena Costruzioni s.r.l., a dichiarare il falso
ai sanitari del Pronto Soccorso presso il quale si era recato, sulle cause di un
infortunio sul lavoro dallo stesso subito, al fine di evitare problemi al
cantiere posto che non erano state osservate le norme antinfortunistiche secondo
quanto emerso a proposito degli altri reati caduti in prescrizione.
2. Ricorre per cassazione A.P., a mezzo del suo difensore e con unico atto,
deducendo:
1) vizio della motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità, che la
Corte di Appello avrebbe affidato soltanto alle incerte e contraddittorie
dichiarazioni della persona offesa, senza considerare che non vi sarebbe stata
alcuna minaccia da parte dell'imputato nei confronti del proprio lavoratore, il
quale, spontaneamente e senza alcun previo colloquio con il ricorrente, si
sarebbe determinato a dichiarare il falso ai sanitari per ottenere maggiori
vantaggi lavorativi anche di tipo economico che gli sarebbero stati promessi
dall'imputato;
2) violazione di legge in ordine alla utilizzabilità delle dichiarazioni della
persona offesa, tenuto conto che costei, essendo stata l'autrice materiale del
falso dichiarativo, avrebbe fin dall'inizio dovuto assumere la qualità di
indagata;
3) violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla qualificazione
giuridica del fatto come estorsione, mancando la minaccia ed anche il dolo,
tenuto conto che la condotta dell'imputato sarebbe stata orientata a trovare una
intesa con il lavoratore piuttosto che tesa a coartarne la volontà.
Diritto
Il ricorso è infondato.
1. Il ricorrente è stato condannato in entrambi i gradi di giudizio con conforme
decisione.
La pacifica giurisprudenza di legittimità, ritiene che, in tal caso, le
motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrino
a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre
in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione,
tanto più ove i giudici dell'appello, come nel caso in esame, abbiano esaminato
le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con
frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi
logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due
gradi di merito costituiscano una sola entità (Cass. pen., sez. 2A, n. 1309 del
22 novembre 1993, dep. 4 febbraio 1994, Albergamo ed altri, rv. 197250; sez. 3A,
n. 13926 del 1 dicembre 2011, dep. 12 aprile 2012, Valerio, rv. 252615).
2. La premessa si è resa necessaria perché è dalla lettura della sentenza di
primo grado - nella quale, a fg. 9, sono trasfuse le dichiarazioni rese al
dibattimento dalla persona offesa - che emerge chiaramente come il ricorrente,
presente al Pronto Soccorso ove la vittima si era recata dopo l'incidente sul
lavoro, avesse minacciato il DB.A. di licenziamento se non avesse dichiarato il
falso e, cioè, di essersi procurato le lesioni in ambito domestico.
Tale assunto, tratto dalla analisi del fatto - qui non più rivedibile - non è
stato smentito dalla Corte di Appello, come si sostiene in ricorso, in quanto i
giudici di secondo grado hanno solo affermato, conformemente alla giurisprudenza
di legittimità, che la estorsione poteva realizzarsi anche laddove siffatta
minaccia fosse stata solo implicita (cosa che non era) e "preminenti piuttosto
le rassicurazioni che la persona offesa avrebbe comunque avuto quanto gli
spettava sul piano retributivo" (fg. 6 della sentenza impugnata).
Ne consegue che risultano smentiti - già dalla sentenza del Tribunale, oltre che
dalla conferma di quella decisione nel secondo grado di giudizio - gli assunti
del ricorrente secondo i quali, da un lato, la vittima avrebbe dichiarato il
falso spontaneamente e senza previe interlocuzioni con il suo datore di lavoro;
dall'altro, il fatto che l'imputato non avesse minacciato la persona offesa.
Viceversa, l'esistenza della minaccia attraverso la raffigurazione di un male
ingiusto costituito dal licenziamento, configura il reato estorsivo in tutti i
suoi elementi costitutivi, con superamento di ogni contraria deduzione
difensiva, che rimane assorbita.
3. In ordine alla questione formale, che inerisce alla utilizzabilità delle
dichiarazioni della vittima, deve sottolinearsi, alla luce della ricostruzione
della vicenda fin qui svolta, che la persona offesa aveva reso le false
dichiarazioni ai sanitari perché coartata nella sua volontà da un fatto illecito
altrui - per l'appunto l'estorsione di cui si discute - sicché doveva
escludersi, ora come al momento delle dichiarazioni rese in fase di indagini,
che sussistesse in capo al dichiarante l'elemento soggettivo di dichiarare il
falso per commettere un reato e, conseguentemente, che il DB.A. potesse
assumere la qualità di persona indagata al momento in cui aveva reso le prime
dichiarazioni; qualità, peraltro, mai attribuitagli lungo il processo e neanche
contestata dalla difesa al dibattimento.
4. Infine, la Corte di Appello, nel dichiarare la prescrizione del reato di
lesioni colpose sub B), ha messo bene in luce come il racconto della persona
offesa fosse stato riscontrato su ogni aspetto della vicenda relativa
all'incidente sul lavoro, rendendo così credibili tutte le sue affermazioni; non
bisognevoli, del resto, in quanto reputate intrinsecamente attendibili con
giudizio privo di vizi logici, di riscontro esterno sullo specifico episodio
estorsivo.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile
DB.A., che liquida in euro 3510,00 oltre rimborso spese forfettarie nella misura
del 15%, CPA e IVA.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 12.12.2018.