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Cassazione Civile, Sez. Lav., n. 25543 - Presidente Bronzini – Relatore Di Paolantonio

Cassazione Civile, Sez. Lav., 12 ottobre 2018, n. 25543


Presidente Bronzini ñ Relatore Di Paolantonio

 

Fatto


1. La Corte díAppello di Milano ha respinto líappello di N.L.I. avverso líordinanza del Tribunale di Como che aveva accolto solo parzialmente il ricorso proposto nei confronti della Banca Popolare di Sondrio s.c.p.a., dichiarando illegittimo il trasferimento della dipendente dalla sede di (Ö) a quella di (Ö) per violazione dellíart. 56 d.lgs. n. 151/2001 e respingendo le ulteriori domande, volte ad ottenere: líaccertamento del carattere discriminatorio delle condotte tenute dal datore di lavoro e, comunque, dellíillegittimit‡ del demansionamento subito dal dicembre 2010 al settembre 2011; il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali; la condanna della convenuta a cessare la condotta discriminatoria e ad adottare i provvedimenti necessari per rimuoverne gli effetti gi‡ prodotti.
2. La Corte territoriale ha premesso che il lavoratore che si assuma discriminato deve fornire elementi di fatto idonei a fondare in termini precisi e concordanti la presunzione di discriminazione, sicchÈ il datore di lavoro Ë tenuto a provare líinsussistenza dellíintento discriminatorio solo qualora il ricorrente abbia assolto allíonere sullo stesso gravante. Ha ritenuto che nella specie la N. non avesse fornito elementi sufficienti, perchÈ la relazione a firma della Consigliera regionale di parit‡ della regione Lombardia del 13 gennaio 2005 non attestava specifiche condotte a contenuto discriminatorio, ma si limitava a denunciare, in termini generici, una non compiuta attuazione del principio di parit‡ di genere, peraltro non corroborata da ulteriori riscontri ed, anzi, smentita dai dati emergenti dagli atti, dai quali si poteva desumere che in relazione ai trasferimenti ed alla concessione del part time la banca aveva favorito il personale di sesso femminile.
3. Il giudice díappello, in risposta ai singoli motivi di gravame, ha evidenziato che:
a) doveva essere escluso il carattere discriminatorio delle note di qualifica relative agli anni 2008 e 2009, perchÈ il giudizio espresso era comunque positivo, la prova testimoniale aveva confermato le ragioni per le quali la valutazione era stata meno soddisfacente rispetto al passato, non vi era alcuna correlazione con la maternit‡ della N. , in quanto la gravidanza era intervenuta solo successivamente ed aveva impedito di valutare la lavoratrice per líanno 2010;
b) non era emersa alcuna disparit‡ di trattamento in relazione allíautorizzazione allo svolgimento di lavoro straordinario, giacchÈ i testi avevano dichiarato che questíultimo veniva autorizzato solo in caso di stretta necessit‡ e che altra dipendente si era trattenuta in servizio oltre il normale orario di lavoro per sua iniziativa e senza essere retribuita;
c) il trasferimento dalla sede di (Ö) a quella di (Ö), che il datore di lavoro non era tenuto a motivare, era giustificato da esigenze di carattere organizzativo, provate dalle deposizioni testimoniali e non sindacabili in sede giudiziale, e non poteva essere stato determinato da intenti discriminatori, perchÈ non era emerso che il dirigente che líaveva disposto fosse a conoscenza dello stato di gravidanza della lavoratrice;
d) non si era verificato il denunciato mutamento in peius delle mansioni, giacchÈ i compiti assegnati presso la filiale di (Ö) erano in linea di continuit‡ con quelli svolti nella precedente sede di lavoro e la sottrazione delle mansioni di gestione operativa sui conti correnti non esprimeva un intento discriminatorio in quanto, da un lato, la stessa era giustificata da una diversa organizzazione del lavoro, dallíaltro alla ricorrente erano stati comunque affidati compiti caratterizzati da rilevanti profili di responsabilit‡;
e) il preteso ritardo nellíautorizzazione allo svolgimento dellíorario flessibile non era stato dimostrato, perchÈ non era emerso che altre richieste fossero state accolte con maggiore tempestivit‡.
4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso N.L.I. sulla base di sei motivi, ai quali la Banca Popolare di Sondrio ha opposto difese con tempestivo controricorso, illustrato da memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
 

Diritto



1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., "violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti accordi collettivi nazionali di lavoro in relazione allíart. 2103 cod. civ. e agli artt. 67 e 69 C.C.N.L. imprese creditizie 2007" e rileva, in sintesi, che ai fini dellíaccertamento sul legittimo esercizio dello ius variandi, occorre valutare líintera professionalit‡ acquisita dal dipendente e, quindi, i giudici di merito non potevano limitarsi a comparare le mansioni svolte presso le filiali di (Ö)e di (Ö), dovendo anche tener conto delle competenze che erano state acquisite nella succursale di (Ö). In particolare avrebbero dovuto valutare che la N. , gi‡ nella precedente fase del rapporto, aveva maturato una particolare competenza nelle operazioni tecnico-commerciali e nellíintermediazione dei titoli, competenza mortificata presso la sede di (Ö), ove era stata assegnata a svolgere mansioni di tipo operativo, in precedenza curate da apprendisti, che si risolvevano nel mero inserimento di dati nel sistema informatico.
2. La seconda censura, formulata sempre ai sensi dellíart. 360 n. 3 cod. proc. civ., denuncia la violazione e falsa applicazione dellíart. 115 cod. proc. civ. e degli artt. 67, 68, 69, 90 del C.C.N.L. 2007 per il personale dipendente da imprese del settore del credito. La ricorrente sostiene, in sintesi, che sarebbe mancata, ai fini dellíaccertamento della discriminazione, la necessaria correlazione fra "quanto emerso in sede di istruttoria testimoniale e quanto deducibile dai documenti", da valutarsi in relazione alle previsioni della contrattazione collettiva. Premesso che il carattere discriminatorio non puÚ essere escluso per il solo fatto che la valutazione sia comunque positiva, la N. evidenzia che il giudizio peggiorativo rispetto al passato non era stato adeguatamente motivato, in quanto le ragioni indicate risultavano essere prive di oggettivit‡. Richiama le deposizioni rese dai testi e sottolinea che la valutazione professionale del 2008 non poteva essere fondata sulle modalit‡ di svolgimento delle mansioni di cassa e tesoreria, alle quali era stata assegnata solo a partire dal marzo 2009. Rileva, infine, che il carattere discriminatorio doveva essere valutato in relazione al congedo matrimoniale e non allo stato di gravidanza, perchÈ, in realt‡, i giudizi meno positivi rispetto al passato erano stati espressi dopo il matrimonio.
3. Il terzo motivo addebita alla sentenza impugnata líomesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che Ë stato oggetto di discussione fra le parti perchÈ la Corte territoriale, indotta in errore dalla deposizione del teste Ne. , non ha considerato che il giudizio negativo espresso determinava anche penalizzazioni economiche, in relazione alle quali lo stesso Ne. , in occasione delle trattative per il rinnovo del Contratto integrativo aziendale, aveva manifestato la volont‡ dellíazienda di equiparare il giudizio di inadeguatezza a quello di parziale adeguatezza. Rileva, inoltre, che il Tribunale, nellíescludere il collegamento fra le valutazioni negative, da un lato, e il matrimonio e la gravidanza dallíaltro, non aveva considerato che gi‡ da tempo la N. aveva comunicato alla Banca che si sarebbe assentata per congedo matrimoniale.
4. Il vizio di cui allíart. 360 n. 5 cod. proc. civ. Ë denunciato anche con il quarto motivo con il quale si sostiene che prima dellíintervento del garante della privacy, avvenuto il 30 marzo 2011, alla dipendente era stato comunicato il solo giudizio sintetico, sicchÈ ben potevano essere modificate le schede valutative che sino a quella data erano contenute in un database accessibile da parte dellíufficio del personale. Aggiunge che i giudizi sintetici erano stati consegnati privi di motivazione scritta e, quindi, non rispondevano ai requisiti richiesti dalle parti collettive.
5. Con la quinta censura la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dellíart. 3 del d.lgs. n. 151/2001 e dellíart. 102 del CCNL 2007 per il personale dipendente dellíimprese creditizie, anche in relazione agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., e sostiene, in sintesi, che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, il ritardo con il quale líazienda aveva provveduto sulla richiesta di concessione della flessibilit‡ oraria di 15 minuti, richiesta al fine di accudire il figlio minore, sottende un chiaro intento discriminatorio, perchÈ ad altri dipendenti lo stesso beneficio era stato concesso senza alcuna difficolt‡. Il motivo, richiamato il contenuto della corrispondenza intercorsa fra le parti, insiste nel sostenere che inizialmente líazienda aveva addotto motivazioni generiche e pretestuose, tenendo un comportamento contrario ai principi di correttezza e buona fede. Aggiunge che líart. 102 del CCNL riconosce "un interesse qualificato del lavoratore ad ottenere tale flessibilit‡" che nel caso di specie assumeva "maggior pregio" perchÈ la richiesta scaturiva dalla necessit‡ di accudire la prole.
6. Infine la sesta censura addebita alla sentenza impugnata "violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione allíart. 40 del codice delle pari opportunit‡ e alla legge 125/1991". La ricorrente assume, in sintesi, che la Corte territoriale, quanto agli oneri probatori, ha richiamato un principio di diritto che non si attaglia alla fattispecie, perchÈ affermato in sede di legittimit‡ in relazione ad una controversia nella quale non era stato offerto alcun elemento a sostegno della natura discriminatoria della condotta denunciata. La N. , invece, attraverso la prova documentale, non correttamente valutata dal Tribunale e dal giudice díappello, aveva dimostrato che la Banca Popolare di Sondrio era solita favorire il personale di sesso maschile sia nellíaccesso allíimpiego, sia negli sviluppi della carriera, come denunciato dalla Consigliera Regionale di Parit‡. La ricorrente aggiunge che anche in occasione della riorganizzazione della filiale di XXXX le scelte aziendali erano state ispirate da una logica discriminatoria perchÈ solo il personale maschile era stato trasferito per assumere funzioni pi? prestigiose nelle nuove sedi di destinazione. Il motivo, poi, insiste nel sostenere che tutti erano a conoscenza della gravidanza, ben prima che questa risultasse dagli atti dellíufficio, e che, comunque, andava valorizzata anche la condotta successivamente tenuta dallíistituto di credito, che non aveva revocato il trasferimento una volta appresa la notizia della gestazione.
7. Il primo motivo Ë inammissibile.
Nel giudizio di legittimit‡ il ricorrente che proponga una questione giuridica, implicante un accertamento di fatto, non trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, al fine di evitare una statuizione di inammissibilit‡ per novit‡ della censura, ha líonere non solo di allegare líavvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicit‡ di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (in tal senso fra le tante Cass. n. 8206/2016; Cass. n. 16706/2018; Cass. n. 16843/2018; Cass. S.U. n. 17532/2018).
Detto onere non Ë stato assolto dalla ricorrente la quale, nel lamentare líomessa considerazione da parte della Corte territoriale, ai fini del giudizio di comparazione fra le mansioni, anche della professionalit‡ acquisita presso la filiale di (Ö), non deduce e dimostra di avere sottoposto al giudice díappello la questione del demansionamento sotto tale profilo, implicante un accertamento di fatto diverso da quello che emerge dalla sentenza impugnata.
7.1. Per il resto il motivo, nella parte in cui insiste nel sostenere che le mansioni assegnate presso la filiale di (Ö) non richiedevano alcuna particolare competenza nÈ assunzione di responsabilit‡, pur denunciando in rubrica un vizio di violazione di legge, sollecita un apprezzamento dei fatti non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale sono rimessi in via esclusiva líindividuazione delle fonti del proprio convincimento, líassunzione e la valutazione delle prove e il controllo della loro attendibilit‡ e concludenza, nonchÈ la scelta, tra le complessive risultanze del processo, di quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicit‡ dei fatti ad esse sottesi.
7.2. Al riguardo va richiamato líorientamento consolidato di questa Corte secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di uníerronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, líallegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa Ë esterna allíesatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura Ë possibile, in sede di legittimit‡, sotto líaspetto del vizio di motivazione, nei limiti fissati dalla normativa processuale succedutasi nel tempo. Il discrimine tra líuna e líaltra ipotesi Ë, dunque, segnato dal fatto che solo questíultima censura, e non anche la prima, Ë mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (fra le pi? recenti, tra le tante, Cass. 12.9.2016 n. 17921; Cass. 11.1.2016 n. 195; Cass. 30.12.2015 n. 26110).
Nel caso di specie la denuncia di violazione dellíart. 2103 cod. civ. e della normativa contrattuale si fonda su una ricostruzione fattuale diversa da quella che si legge nella sentenza impugnata, sicchÈ il motivo non Ë sussumibile nellíipotesi di cui al n. 3 dellíart. 360 cod. proc. civ..
8. Analoghe considerazioni vanno espresse in relazione al secondo motivo.
Occorre premettere che, "la violazione dellíart. 115 cod. proc. civ. puÚ essere dedotta come vizio di legittimit‡ solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre" (Cass. 11892/2016).
Esula, pertanto, dal vizio denunciato la censura con la quale si addebiti al giudice di merito di avere errato nella complessiva valutazione delle risultanze processuali, poichÈ in tal caso la norma che viene in rilievo Ë líart. 116 cod. proc. civ., in relazione alla quale questa Corte ha gi‡ osservato che " il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non d‡ luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dellíart. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (che attribuisce rilievo allíomesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nÈ in quello del precedente n. 4, disposizione che - per il tramite dellíart. 132, n. 4, c.p.c. - d‡ rilievo unicamente allíanomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante" (Cass. n. 11892/2016 cit.).
Le doglianze formulate dalla ricorrente, non a caso fondate sul richiamo a deposizioni testimoniali e a documenti, finiscono per addebitare alla Corte milanese, non gi‡ di avere errato nellíinterpretazione della normativa sostanziale rilevante nella fattispecie, bensÏ di avere escluso la violazione dei principi di correttezza e buona fede nonchÈ il carattere discriminatorio del giudizio espresso, sulla base di un apprezzamento non corretto delle risultanze di causa, alle quali ne contrappongono uno difforme, sollecitando un giudizio di merito non consentito in sede di legittimit‡.
9. Il terzo ed il quarto motivo, formulati ai sensi dellíart. 360 n. 5 cod. proc. civ., sono parimenti inammissibili.
Nei giudizi di appello instaurati con ricorso depositato in data successiva allíil settembre 2012 (nella specie líappello Ë stato proposto con ricorso notificato il 16.4.2013 ed Ë stato iscritto al n. 461/2013 R.G. Corte díappello di Milano), trova applicazione líart. 348 ter comma 5 cod. proc. civ., introdotto dallíart. 54 del d.l. n. 83/2012, convertito dalla legge n. 134/2012, sicchÈ il ricorrente per cassazione, qualora il giudice del gravame abbia confermato la decisione di primo grado, al fine di evitare líinammissibilit‡ del motivo formulato ai sensi dellíart. 360 n. 5 cod. proc. civ., deve innanzitutto indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dellíappello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 26774/2016; Cass. n. 5524/2014);
9.1. Va detto, inoltre, che, come osservato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. 22.9.2014 n. 19881 e Cass. S.U. 7.4.2014 n. 8053), la ratio del recente intervento normativo Ë espressa dai lavori parlamentari lÏ dove si afferma che la riformulazione dellíart. 360 n. 5 cod. proc. civ. ha la finalit‡ di evitare líabuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare la funzione nomofilattica propria della Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non dello ius litigatoris. Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo allorquando si risolva nella violazione dellíart. 132 cod. proc. civ., ravvisabile nel caso in cui la motivazione o manchi del tutto - nel senso che alla premessa dellíoggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue líenunciazione della decisione senza alcuna argomentazione - ovvero esista formalmente come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioË di riconoscerla come giustificazione del decisum. Esula, invece, dal vizio di violazione di legge la verifica della sufficienza e della razionalit‡ della motivazione sulle quaestiones facti, implicante un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito.
9.2. Le Sezioni Unite hanno anche precisato che il vizio tipizzato dallíart. 360 n. 5 cod. proc. civ., nella formulazione attuale, non riguarda la motivazione della sentenza ma concerne, invece, líomesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Líomesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra líomesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchÈ questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.
Il motivo, quindi, Ë validamente formulato ai sensi dellíart. 360 n. 5 cod. proc. civ. solo qualora il ricorrente indichi il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisivit‡".
Entrambe le censure con le quali la ricorrente si duole dellíomessa considerazione dellíincidenza del giudizio sulla carriera e della possibile alterazione del documento informatico, non sono prospettate nei termini sopra indicati, sicchÈ le stesse non possono essere scrutinate.
10. Il quinto ed il sesto motivo possono essere unitariamente trattati, perchÈ sollecitano una pronuncia sulla ripartizione degli oneri di allegazione e prova nelle controversie nelle quali vengano denunciati comportamenti datoriali discriminatori.
Si Ë evidenziato nello storico di lite che la Corte territoriale ha escluso la natura discriminatoria delle condotte denunciate dalla N. rilevando che il datore di lavoro Ë tenuto a provare líinsussistenza dellíintento discriminatorio solo qualora il lavoratore abbia fornito elementi di fatto idonei a fondare in termini precisi e concordanti la presunzione di discriminazione.
Il giudice díappello si Ë, quindi, attenuto al principio di diritto affermato da questa Corte, e condiviso dal Collegio, secondo cui líart. 40 del d.lgs. n. 198/2006 non stabilisce uníinversione dellíonere probatorio, ma solo uníattenuazione del regime ordinario, prevedendo a carico del soggetto convenuto, in linea con quanto disposto dallíart. 19 della direttiva 2006/54/CE, líonere di fornire la prova dellíinesistenza della discriminazione, solo una volta che il ricorrente abbia fornito al giudice elementi di fatto idonei a fondare la presunzione dellíesistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso (Cass. n. 14206/2013; Cass. n. 17832/2015; Cass. n. 2113/2016).
Analogo principio Ë stato affermato, in relazione allíinterpretazione dellíart. 19 della richiamata direttiva, dalla Corte di Giustizia, la quale ha evidenziato che "spetta alla lavoratrice che si ritenga lesa dallíinosservanza nei propri confronti del principio della parit‡ di trattamento dimostrare, dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi a qualsiasi altro organo competente, fatti od elementi di prova in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta (v., in tal senso, sentenza del 21 luglio 2011, Kelly, C-104/10, EU:C:2011:506, punto 29).... » solo nel caso in cui la lavoratrice interessata abbia provato tali fatti od elementi di prova che si verifica uníinversione dellíonere della prova e che spetta alla controparte dimostrare che non vi sia stata violazione del principio di non discriminazione (v., in tal senso, sentenza del 21 luglio 2011, Kelly, C-104/10, EU:C:2011:506, punto 30)." (Corte di Giustizia 19.10.2017 in causa C - 531/15 Otero Ramos).
La ricorrente, pur denunciando la violazione e líerrata applicazione di norme di diritto, in realt‡ non formula specifiche censure inerenti la correttezza giuridica della soluzione adottata, bensÏ, analogamente a quanto si Ë rilevato in relazione agli altri motivi, si duole della valutazione delle risultanze processuali che, a suo dire, offrivano elementi sufficienti a far ritenere assolto líonere gravante sulla lavoratrice e, comunque, provata líassenza di ragioni idonee a giustificare il ritardo nellíaccoglimento dellíistanza di flessibilit‡ dellíorario.
Valgono, quindi, le medesime considerazioni gi‡ espresse nellíesame delle altre censure, perchÈ anche in tal caso il ricorso sollecita un apprezzamento di fatto non consentito alla Corte di legittimit‡.
11. In via conclusiva il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimit‡, liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dellíart. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato dovuto dalla ricorrente.

 

P.Q.M.



La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimit‡ liquidate in Euro 4.000,00 per competenze professionali ed Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater d‡ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dellíulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

 



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