Cassazione Civile, Sez. Lav., 12 ottobre 2018, n. 25543
Presidente Bronzini ñ Relatore Di Paolantonio
Fatto
1. La Corte díAppello di Milano ha respinto líappello di N.L.I. avverso
líordinanza del Tribunale di Como che aveva accolto solo parzialmente il ricorso
proposto nei confronti della Banca Popolare di Sondrio s.c.p.a., dichiarando
illegittimo il trasferimento della dipendente dalla sede di (Ö) a quella di (Ö)
per violazione dellíart. 56 d.lgs. n. 151/2001 e respingendo le ulteriori
domande, volte ad ottenere: líaccertamento del carattere discriminatorio delle
condotte tenute dal datore di lavoro e, comunque, dellíillegittimit‡ del
demansionamento subito dal dicembre 2010 al settembre 2011; il risarcimento dei
danni patrimoniali e non patrimoniali; la condanna della convenuta a cessare la
condotta discriminatoria e ad adottare i provvedimenti necessari per rimuoverne
gli effetti gi‡ prodotti.
2. La Corte territoriale ha premesso che il lavoratore che si assuma
discriminato deve fornire elementi di fatto idonei a fondare in termini precisi
e concordanti la presunzione di discriminazione, sicchÈ il datore di lavoro Ë
tenuto a provare líinsussistenza dellíintento discriminatorio solo qualora il
ricorrente abbia assolto allíonere sullo stesso gravante. Ha ritenuto che nella
specie la N. non avesse fornito elementi sufficienti, perchÈ la relazione a
firma della Consigliera regionale di parit‡ della regione Lombardia del 13
gennaio 2005 non attestava specifiche condotte a contenuto discriminatorio, ma
si limitava a denunciare, in termini generici, una non compiuta attuazione del
principio di parit‡ di genere, peraltro non corroborata da ulteriori riscontri
ed, anzi, smentita dai dati emergenti dagli atti, dai quali si poteva desumere
che in relazione ai trasferimenti ed alla concessione del part time la banca
aveva favorito il personale di sesso femminile.
3. Il giudice díappello, in risposta ai singoli motivi di gravame, ha
evidenziato che:
a) doveva essere escluso il carattere discriminatorio delle note di qualifica
relative agli anni 2008 e 2009, perchÈ il giudizio espresso era comunque
positivo, la prova testimoniale aveva confermato le ragioni per le quali la
valutazione era stata meno soddisfacente rispetto al passato, non vi era alcuna
correlazione con la maternit‡ della N. , in quanto la gravidanza era intervenuta
solo successivamente ed aveva impedito di valutare la lavoratrice per líanno
2010;
b) non era emersa alcuna disparit‡ di trattamento in relazione
allíautorizzazione allo svolgimento di lavoro straordinario, giacchÈ i testi
avevano dichiarato che questíultimo veniva autorizzato solo in caso di stretta
necessit‡ e che altra dipendente si era trattenuta in servizio oltre il normale
orario di lavoro per sua iniziativa e senza essere retribuita;
c) il trasferimento dalla sede di (Ö) a quella di (Ö), che il datore di lavoro
non era tenuto a motivare, era giustificato da esigenze di carattere
organizzativo, provate dalle deposizioni testimoniali e non sindacabili in sede
giudiziale, e non poteva essere stato determinato da intenti discriminatori,
perchÈ non era emerso che il dirigente che líaveva disposto fosse a conoscenza
dello stato di gravidanza della lavoratrice;
d) non si era verificato il denunciato mutamento in peius delle mansioni,
giacchÈ i compiti assegnati presso la filiale di (Ö) erano in linea di
continuit‡ con quelli svolti nella precedente sede di lavoro e la sottrazione
delle mansioni di gestione operativa sui conti correnti non esprimeva un intento
discriminatorio in quanto, da un lato, la stessa era giustificata da una diversa
organizzazione del lavoro, dallíaltro alla ricorrente erano stati comunque
affidati compiti caratterizzati da rilevanti profili di responsabilit‡;
e) il preteso ritardo nellíautorizzazione allo svolgimento dellíorario
flessibile non era stato dimostrato, perchÈ non era emerso che altre richieste
fossero state accolte con maggiore tempestivit‡.
4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso N.L.I. sulla base di sei
motivi, ai quali la Banca Popolare di Sondrio ha opposto difese con tempestivo
controricorso, illustrato da memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
Diritto
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ.,
"violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti accordi
collettivi nazionali di lavoro in relazione allíart. 2103 cod. civ. e agli artt.
67 e 69 C.C.N.L. imprese creditizie 2007" e rileva, in sintesi, che ai fini
dellíaccertamento sul legittimo esercizio dello ius variandi, occorre valutare
líintera professionalit‡ acquisita dal dipendente e, quindi, i giudici di merito
non potevano limitarsi a comparare le mansioni svolte presso le filiali di (Ö)e
di (Ö), dovendo anche tener conto delle competenze che erano state acquisite
nella succursale di (Ö). In particolare avrebbero dovuto valutare che la N. ,
gi‡ nella precedente fase del rapporto, aveva maturato una particolare
competenza nelle operazioni tecnico-commerciali e nellíintermediazione dei
titoli, competenza mortificata presso la sede di (Ö), ove era stata assegnata a
svolgere mansioni di tipo operativo, in precedenza curate da apprendisti, che si
risolvevano nel mero inserimento di dati nel sistema informatico.
2. La seconda censura, formulata sempre ai sensi dellíart. 360 n. 3 cod. proc.
civ., denuncia la violazione e falsa applicazione dellíart. 115 cod. proc. civ.
e degli artt. 67, 68, 69, 90 del C.C.N.L. 2007 per il personale dipendente da
imprese del settore del credito. La ricorrente sostiene, in sintesi, che sarebbe
mancata, ai fini dellíaccertamento della discriminazione, la necessaria
correlazione fra "quanto emerso in sede di istruttoria testimoniale e quanto
deducibile dai documenti", da valutarsi in relazione alle previsioni della
contrattazione collettiva. Premesso che il carattere discriminatorio non puÚ
essere escluso per il solo fatto che la valutazione sia comunque positiva, la N.
evidenzia che il giudizio peggiorativo rispetto al passato non era stato
adeguatamente motivato, in quanto le ragioni indicate risultavano essere prive
di oggettivit‡. Richiama le deposizioni rese dai testi e sottolinea che la
valutazione professionale del 2008 non poteva essere fondata sulle modalit‡ di
svolgimento delle mansioni di cassa e tesoreria, alle quali era stata assegnata
solo a partire dal marzo 2009. Rileva, infine, che il carattere discriminatorio
doveva essere valutato in relazione al congedo matrimoniale e non allo stato di
gravidanza, perchÈ, in realt‡, i giudizi meno positivi rispetto al passato erano
stati espressi dopo il matrimonio.
3. Il terzo motivo addebita alla sentenza impugnata líomesso esame di un fatto
decisivo per il giudizio che Ë stato oggetto di discussione fra le parti perchÈ
la Corte territoriale, indotta in errore dalla deposizione del teste Ne. , non
ha considerato che il giudizio negativo espresso determinava anche
penalizzazioni economiche, in relazione alle quali lo stesso Ne. , in occasione
delle trattative per il rinnovo del Contratto integrativo aziendale, aveva
manifestato la volont‡ dellíazienda di equiparare il giudizio di inadeguatezza a
quello di parziale adeguatezza. Rileva, inoltre, che il Tribunale,
nellíescludere il collegamento fra le valutazioni negative, da un lato, e il
matrimonio e la gravidanza dallíaltro, non aveva considerato che gi‡ da tempo la
N. aveva comunicato alla Banca che si sarebbe assentata per congedo
matrimoniale.
4. Il vizio di cui allíart. 360 n. 5 cod. proc. civ. Ë denunciato anche con il
quarto motivo con il quale si sostiene che prima dellíintervento del garante
della privacy, avvenuto il 30 marzo 2011, alla dipendente era stato comunicato
il solo giudizio sintetico, sicchÈ ben potevano essere modificate le schede
valutative che sino a quella data erano contenute in un database accessibile da
parte dellíufficio del personale. Aggiunge che i giudizi sintetici erano stati
consegnati privi di motivazione scritta e, quindi, non rispondevano ai requisiti
richiesti dalle parti collettive.
5. Con la quinta censura la ricorrente si duole della violazione e falsa
applicazione dellíart. 3 del d.lgs. n. 151/2001 e dellíart. 102 del CCNL 2007
per il personale dipendente dellíimprese creditizie, anche in relazione agli
artt. 1175 e 1375 cod. civ., e sostiene, in sintesi, che, contrariamente a
quanto ritenuto dalla Corte territoriale, il ritardo con il quale líazienda
aveva provveduto sulla richiesta di concessione della flessibilit‡ oraria di 15
minuti, richiesta al fine di accudire il figlio minore, sottende un chiaro
intento discriminatorio, perchÈ ad altri dipendenti lo stesso beneficio era
stato concesso senza alcuna difficolt‡. Il motivo, richiamato il contenuto della
corrispondenza intercorsa fra le parti, insiste nel sostenere che inizialmente
líazienda aveva addotto motivazioni generiche e pretestuose, tenendo un
comportamento contrario ai principi di correttezza e buona fede. Aggiunge che
líart. 102 del CCNL riconosce "un interesse qualificato del lavoratore ad
ottenere tale flessibilit‡" che nel caso di specie assumeva "maggior pregio"
perchÈ la richiesta scaturiva dalla necessit‡ di accudire la prole.
6. Infine la sesta censura addebita alla sentenza impugnata "violazione e falsa
applicazione di norme di diritto in relazione allíart. 40 del codice delle pari
opportunit‡ e alla legge 125/1991". La ricorrente assume, in sintesi, che la
Corte territoriale, quanto agli oneri probatori, ha richiamato un principio di
diritto che non si attaglia alla fattispecie, perchÈ affermato in sede di
legittimit‡ in relazione ad una controversia nella quale non era stato offerto
alcun elemento a sostegno della natura discriminatoria della condotta
denunciata. La N. , invece, attraverso la prova documentale, non correttamente
valutata dal Tribunale e dal giudice díappello, aveva dimostrato che la Banca
Popolare di Sondrio era solita favorire il personale di sesso maschile sia
nellíaccesso allíimpiego, sia negli sviluppi della carriera, come denunciato
dalla Consigliera Regionale di Parit‡. La ricorrente aggiunge che anche in
occasione della riorganizzazione della filiale di XXXX le scelte aziendali erano
state ispirate da una logica discriminatoria perchÈ solo il personale maschile
era stato trasferito per assumere funzioni pi? prestigiose nelle nuove sedi di
destinazione. Il motivo, poi, insiste nel sostenere che tutti erano a conoscenza
della gravidanza, ben prima che questa risultasse dagli atti dellíufficio, e
che, comunque, andava valorizzata anche la condotta successivamente tenuta
dallíistituto di credito, che non aveva revocato il trasferimento una volta
appresa la notizia della gestazione.
7. Il primo motivo Ë inammissibile.
Nel giudizio di legittimit‡ il ricorrente che proponga una questione giuridica,
implicante un accertamento di fatto, non trattata in alcun modo nella sentenza
impugnata, al fine di evitare una statuizione di inammissibilit‡ per novit‡
della censura, ha líonere non solo di allegare líavvenuta deduzione della
questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto
difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla
Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicit‡ di tale asserzione,
prima di esaminare nel merito la questione stessa (in tal senso fra le tante
Cass. n. 8206/2016; Cass. n. 16706/2018; Cass. n. 16843/2018; Cass. S.U. n.
17532/2018).
Detto onere non Ë stato assolto dalla ricorrente la quale, nel lamentare
líomessa considerazione da parte della Corte territoriale, ai fini del giudizio
di comparazione fra le mansioni, anche della professionalit‡ acquisita presso la
filiale di (Ö), non deduce e dimostra di avere sottoposto al giudice díappello
la questione del demansionamento sotto tale profilo, implicante un accertamento
di fatto diverso da quello che emerge dalla sentenza impugnata.
7.1. Per il resto il motivo, nella parte in cui insiste nel sostenere che le
mansioni assegnate presso la filiale di (Ö) non richiedevano alcuna particolare
competenza nÈ assunzione di responsabilit‡, pur denunciando in rubrica un vizio
di violazione di legge, sollecita un apprezzamento dei fatti non consentito a
questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della
controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica delle
argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale sono rimessi in via
esclusiva líindividuazione delle fonti del proprio convincimento, líassunzione e
la valutazione delle prove e il controllo della loro attendibilit‡ e concludenza,
nonchÈ la scelta, tra le complessive risultanze del processo, di quelle ritenute
maggiormente idonee a dimostrare la veridicit‡ dei fatti ad esse sottesi.
7.2. Al riguardo va richiamato líorientamento consolidato di questa Corte
secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di
uníerronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie
normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo
della stessa; viceversa, líallegazione di una errata ricostruzione della
fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa Ë esterna allíesatta
interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di
merito, la cui censura Ë possibile, in sede di legittimit‡, sotto líaspetto del
vizio di motivazione, nei limiti fissati dalla normativa processuale succedutasi
nel tempo. Il discrimine tra líuna e líaltra ipotesi Ë, dunque, segnato dal
fatto che solo questíultima censura, e non anche la prima, Ë mediata dalla
contestata valutazione delle risultanze di causa (fra le pi? recenti, tra le
tante, Cass. 12.9.2016 n. 17921; Cass. 11.1.2016 n. 195; Cass. 30.12.2015 n.
26110).
Nel caso di specie la denuncia di violazione dellíart. 2103 cod. civ. e della
normativa contrattuale si fonda su una ricostruzione fattuale diversa da quella
che si legge nella sentenza impugnata, sicchÈ il motivo non Ë sussumibile
nellíipotesi di cui al n. 3 dellíart. 360 cod. proc. civ..
8. Analoghe considerazioni vanno espresse in relazione al secondo motivo.
Occorre premettere che, "la violazione dellíart. 115 cod. proc. civ. puÚ essere
dedotta come vizio di legittimit‡ solo denunciando che il giudice ha dichiarato
espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha
giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua
iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il
medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior
forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre" (Cass. 11892/2016).
Esula, pertanto, dal vizio denunciato la censura con la quale si addebiti al
giudice di merito di avere errato nella complessiva valutazione delle risultanze
processuali, poichÈ in tal caso la norma che viene in rilievo Ë líart. 116 cod.
proc. civ., in relazione alla quale questa Corte ha gi‡ osservato che " il
cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte
del giudice di merito non d‡ luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso
per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dellíart. 360, comma 1,
n. 5, c.p.c. (che attribuisce rilievo allíomesso esame di un fatto storico,
principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o
dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e
presenti carattere decisivo per il giudizio), nÈ in quello del precedente n. 4,
disposizione che - per il tramite dellíart. 132, n. 4, c.p.c. - d‡ rilievo
unicamente allíanomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante" (Cass. n. 11892/2016 cit.).
Le doglianze formulate dalla ricorrente, non a caso fondate sul richiamo a
deposizioni testimoniali e a documenti, finiscono per addebitare alla Corte
milanese, non gi‡ di avere errato nellíinterpretazione della normativa
sostanziale rilevante nella fattispecie, bensÏ di avere escluso la violazione
dei principi di correttezza e buona fede nonchÈ il carattere discriminatorio del
giudizio espresso, sulla base di un apprezzamento non corretto delle risultanze
di causa, alle quali ne contrappongono uno difforme, sollecitando un giudizio di
merito non consentito in sede di legittimit‡.
9. Il terzo ed il quarto motivo, formulati ai sensi dellíart. 360 n. 5 cod. proc.
civ., sono parimenti inammissibili.
Nei giudizi di appello instaurati con ricorso depositato in data successiva
allíil settembre 2012 (nella specie líappello Ë stato proposto con ricorso
notificato il 16.4.2013 ed Ë stato iscritto al n. 461/2013 R.G. Corte díappello
di Milano), trova applicazione líart. 348 ter comma 5 cod. proc. civ.,
introdotto dallíart. 54 del d.l. n. 83/2012, convertito dalla legge n. 134/2012,
sicchÈ il ricorrente per cassazione, qualora il giudice del gravame abbia
confermato la decisione di primo grado, al fine di evitare líinammissibilit‡ del
motivo formulato ai sensi dellíart. 360 n. 5 cod. proc. civ., deve innanzitutto
indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di
primo grado e della sentenza di rigetto dellíappello, dimostrando che esse sono
tra loro diverse (Cass. n. 26774/2016; Cass. n. 5524/2014);
9.1. Va detto, inoltre, che, come osservato dalle Sezioni Unite di questa Corte
(Cass. S.U. 22.9.2014 n. 19881 e Cass. S.U. 7.4.2014 n. 8053), la ratio del
recente intervento normativo Ë espressa dai lavori parlamentari lÏ dove si
afferma che la riformulazione dellíart. 360 n. 5 cod. proc. civ. ha la finalit‡
di evitare líabuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione,
non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di
supportare la funzione nomofilattica propria della Corte di cassazione, quale
giudice dello ius constitutionis e non dello ius litigatoris. Il vizio di
motivazione, quindi, rileva solo allorquando si risolva nella violazione
dellíart. 132 cod. proc. civ., ravvisabile nel caso in cui la motivazione o
manchi del tutto - nel senso che alla premessa dellíoggetto del decidere
risultante dallo svolgimento del processo segue líenunciazione della decisione
senza alcuna argomentazione - ovvero esista formalmente come parte del
documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente
contraddittorio da non permettere di individuarla, cioË di riconoscerla come
giustificazione del decisum. Esula, invece, dal vizio di violazione di legge la
verifica della sufficienza e della razionalit‡ della motivazione sulle
quaestiones facti, implicante un raffronto tra le ragioni del decidere adottate
ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio
sottoposto al vaglio del giudice di merito.
9.2. Le Sezioni Unite hanno anche precisato che il vizio tipizzato dallíart. 360
n. 5 cod. proc. civ., nella formulazione attuale, non riguarda la motivazione
della sentenza ma concerne, invece, líomesso esame di un fatto storico,
principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o
dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia
carattere decisivo nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito
diverso della controversia. Líomesso esame di elementi istruttori, in quanto
tale, non integra líomesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma,
quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione
dal giudice, ancorchÈ questi non abbia dato conto di tutte le risultanze
probatorie astrattamente rilevanti.
Il motivo, quindi, Ë validamente formulato ai sensi dellíart. 360 n. 5 cod. proc.
civ. solo qualora il ricorrente indichi il "fatto storico", il cui esame sia
stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti
esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione
processuale tra le parti e la sua "decisivit‡".
Entrambe le censure con le quali la ricorrente si duole dellíomessa
considerazione dellíincidenza del giudizio sulla carriera e della possibile
alterazione del documento informatico, non sono prospettate nei termini sopra
indicati, sicchÈ le stesse non possono essere scrutinate.
10. Il quinto ed il sesto motivo possono essere unitariamente trattati, perchÈ
sollecitano una pronuncia sulla ripartizione degli oneri di allegazione e prova
nelle controversie nelle quali vengano denunciati comportamenti datoriali
discriminatori.
Si Ë evidenziato nello storico di lite che la Corte territoriale ha escluso la
natura discriminatoria delle condotte denunciate dalla N. rilevando che il
datore di lavoro Ë tenuto a provare líinsussistenza dellíintento discriminatorio
solo qualora il lavoratore abbia fornito elementi di fatto idonei a fondare in
termini precisi e concordanti la presunzione di discriminazione.
Il giudice díappello si Ë, quindi, attenuto al principio di diritto affermato da
questa Corte, e condiviso dal Collegio, secondo cui líart. 40 del d.lgs. n.
198/2006 non stabilisce uníinversione dellíonere probatorio, ma solo
uníattenuazione del regime ordinario, prevedendo a carico del soggetto
convenuto, in linea con quanto disposto dallíart. 19 della direttiva 2006/54/CE,
líonere di fornire la prova dellíinesistenza della discriminazione, solo una
volta che il ricorrente abbia fornito al giudice elementi di fatto idonei a
fondare la presunzione dellíesistenza di atti, patti o comportamenti
discriminatori in ragione del sesso (Cass. n. 14206/2013; Cass. n. 17832/2015;
Cass. n. 2113/2016).
Analogo principio Ë stato affermato, in relazione allíinterpretazione dellíart.
19 della richiamata direttiva, dalla Corte di Giustizia, la quale ha evidenziato
che "spetta alla lavoratrice che si ritenga lesa dallíinosservanza nei propri
confronti del principio della parit‡ di trattamento dimostrare, dinanzi ad un
organo giurisdizionale, ovvero dinanzi a qualsiasi altro organo competente,
fatti od elementi di prova in base ai quali si possa presumere che ci sia stata
discriminazione diretta o indiretta (v., in tal senso, sentenza del 21 luglio
2011, Kelly, C-104/10, EU:C:2011:506, punto 29).... » solo nel caso in cui la
lavoratrice interessata abbia provato tali fatti od elementi di prova che si
verifica uníinversione dellíonere della prova e che spetta alla controparte
dimostrare che non vi sia stata violazione del principio di non discriminazione
(v., in tal senso, sentenza del 21 luglio 2011, Kelly, C-104/10, EU:C:2011:506,
punto 30)." (Corte di Giustizia 19.10.2017 in causa C - 531/15 Otero Ramos).
La ricorrente, pur denunciando la violazione e líerrata applicazione di norme di
diritto, in realt‡ non formula specifiche censure inerenti la correttezza
giuridica della soluzione adottata, bensÏ, analogamente a quanto si Ë rilevato
in relazione agli altri motivi, si duole della valutazione delle risultanze
processuali che, a suo dire, offrivano elementi sufficienti a far ritenere
assolto líonere gravante sulla lavoratrice e, comunque, provata líassenza di
ragioni idonee a giustificare il ritardo nellíaccoglimento dellíistanza di
flessibilit‡ dellíorario.
Valgono, quindi, le medesime considerazioni gi‡ espresse nellíesame delle altre
censure, perchÈ anche in tal caso il ricorso sollecita un apprezzamento di fatto
non consentito alla Corte di legittimit‡.
11. In via conclusiva il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna
della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimit‡, liquidate
come da dispositivo.
Ai sensi dellíart. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato
dalla L. 24.12.12 n. 228, deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni
previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato dovuto dalla
ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
del giudizio di legittimit‡ liquidate in Euro 4.000,00 per competenze
professionali ed Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali del 15%
e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater d‡ atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente,
dellíulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per
il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.