Penale Sent. Sez. 4 Num. 54 Anno 2020 - Presidente: FUMU GIACOMO Relatore: DOVERE SALVATORE
Fatto
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Firenze ha
confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Siena con la quale G.E. è stato
ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 590 cod. pen., per aver
cagionato per colpa lesioni personali a D.B., commettendo il fatto con
violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni e per
imprudenza, imperizia, negligenza.
Secondo l'accertamento condotto nei gradi di merito, D.B., lavoratore alle
dipendenze della Travertino Sant'Andrea G. s.r.l., della quale era consigliere
delegato G.E., stava trasferendo delle lastre di travertino dalla levigatrice
alla stuccatrice quando, a causa del mancato funzionamento delle fotocellule
presenti sull'impianto, rimaneva incastrato tra il carrello mobile e la rulllera
fissa, riportando lesioni personali dalle quali derivava una malattia guarita in
oltre quaranta giorni.
2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione il G.E., a mezzo del difensore
di fiducia, lamentando con un primo motivo la violazione di legge in relazione
agli artt. 2, 16, 18 e 299 del d.lgs. n. 81/2008.
Osserva l'esponente che la Corte di Appello ha ritenuto che il G.E. ricoprisse
una posizione di garanzia nonostante la presenza all'interno dell'organizzazione
aziendale di altre figure specificamente preposte e l'assenza di qualsiasi
potere, anche di fatto, in materia di vigilanza e sicurezza dei lavoratori.
La Corte di Appello ha ritenuto la responsabilità del G.E. perché consigliere
delegato e in quanto indicato nel documento di valutazione dei rischi come
referente; ma tale documento non attribuisce alcuna qualifica tipizzata dal
legislatore. Egli risulta indicato nel DVR come dirigente con funzioni di
'responsabile e commerciale e produzione', mentre altra persona, F.F., viene
qualificato come preposto, con funzioni di capo cantiere.
Pertanto, il G.E. era dirigente ma con funzioni connesse alla
commercializzazione e alla produzione. Quanto alla qualifica di consigliere
delegato, l'esponente rammenta che non trova applicazione il principio del
cumulo delle responsabilità in capo ai vertici dell'azienda quando esistente una
delega esplicita o implicita della posizione di garanzia; delega che nella
specie era stata conferita al F.F., che nella qualità di preposto era garante
dell'obbligo di assicurare la sicurezza del lavoro.
Con un secondo motivo si denuncia il vizio della motivazione perché la Corte di
Appello ha ritenuto che il G.E. avesse di fatto esercitato le funzioni di
responsabile della sicurezza senza però che taluno abbia riferito circostanze
dalle quali desumere l'esercizio di un potere di fatto. Che il G.E. impartisse
disposizioni specifiche ai lavoratori in merito alle modalità operative è stato
riferito solo dal B., che tuttavia è stato smentito dai testi OMISSIS. Quindi la
sentenza impugnata non rispetta le risultanze probatorie. Risulta altresì
illogico l'uso che delle dichiarazioni dell'imputato ha fatto la Corte di
Appello.
Con un terzo motivo si lamenta la illogicità della motivazione in ordine al
diniego delle attenuanti generiche, fondato sull'elevato grado della colpa; dato
non reale, perché l'imputato non ha violato alcuna regola di diligenza
positivizzata o meno.
Infine si lamenta la violazione dell'alt. 538 cod. proc. pen., per essere stata
omessa la condanna del responsabile civile.
3. In data 21.10.2019 è stata depositata memoria difensiva nell'interesse di
D.B., nella quale è argomentata la richiesta di rigetto del ricorso.
4. In data 23.10.2019 è stata depositata memoria nell'interesse dell'impresa,
con la quale si formulano osservazioni e la richiesta di provvedere
all'annullamento della sentenza impugnata.
Diritto
3. Il ricorso è inammissibile. Ciò non consente di dare rilievo al sopravvenuto
decorso del termine massimo di prescrizione (cfr. Sez. U, n. 33542 del
27/06/2001, Cavalera, Rv. 219531; Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, Bracale, Rv.
231164; Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 - dep. 25/03/2016, Ricci, Rv. 266818).
3.1. Il primo motivo è manifestamente infondato. Lo stesso ricorrente espone di
aver rivestito la qualifica di consigliere delegato. E' noto che secondo la
giurisprudenza di questa Corte nelle società di capitali, gli obblighi inerenti
alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro
gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione,
salvo il caso di delega, validamente conferita, della posizione di garanzia (Sez.
4, n. 8118 del 01/02/2017 - dep. 20/02/2017, Ottavi, Rv. 26913301). I rilievi
che si muovono alla sentenza impugnata in relazione all'interpretazione data di
quanto emergente dal DVR risultano quindi recessivi, ove pure cogliessero il
punto.
Il ricorrente evoca anche una delega, della cui esistenza non è fatta menzione
nelle sentenze di merito. E, d'altronde, appare evidente che nel ricorso si
confonde l'attribuzione di ruoli all'interno dell'organigramma aziendale con la
delega delle funzioni prevenzionistiche di cui all'art. 16 d.lgs. n. 81/2008. Ma
la prima, quando associata alla effettiva titolarità di pertinenti poteri, fonda
la posizione gestoria a titolo originario; la seconda comporta il trasferimento
dal datore di lavoro ad altri di alcune sue specifiche e definite competenze e
dei correlati poteri. La preposizione di un preposto non costituisce atto di
delega in senso stretto; e d'altronde non sottrae il datore di lavoro ai propri
obblighi di organizzazione e di vigilanza sulla osservanza delle procedure
aziendali, anche da parte del preposto stesso.
3.2. Pertanto, se la presenza di altri gestori del rischio da lavoro non
costituisce di per sé ragione di esonero da responsabilità del datore di lavoro,
quel che rileva è l'identificazione del rischio che si è concretizzato
nell'evento, onde risalire a colui che avrebbe dovuto curare gli adempimenti
prevenzionistici.
Nel caso che occupa, secondo la ricostruzione conforme delle sentenze di merito,
l'infortunio si è determinato perché posta in essere una procedura di lavoro non
conforme alle regole cautelari, in quanto erano state disattivate le fotocellule
che comandavano l'arresto del macchinario ove il lavoratore fosse entrato nel
loro campo di azione.
La Corte di appello ha esposto che ciò rispondeva ad una prassi che era
tollerata dal G.E..
Si tratta di circostanze non contestate nemmeno dal ricorrente. Sicché trova
applicazione il principio secondo il quale, in tema di infortuni sul lavoro, in
presenza di una prassi dei lavoratori elusiva delle prescrizioni volte alla
tutela della sicurezza, non è ravvisabile la colpa del datore di lavoro, sotto
il profilo dell’esigibilità del comportamento dovuto omesso, ove non vi sia
prova della sua conoscenza, o della sua colpevole ignoranza, di tale prassi (Sez.
4, n. 32507 del 16/04/2019 - dep. 22/07/2019, Romano, Rv. 27679702).
Sotto altro profilo, che il G.E. non avesse esercitato in concreto le funzioni
di vigilanza è al contempo ragione dell'addebito - perché proprio l'omissione
dei doveri tipici del datore di lavoro aveva permesso l'ingenerarsi della
scorretta prassi lavorativa - e circostanza irrilevante - ove si faccia
riferimento ai compiti di vigilanza del preposto, la cui violazione si somma a
quella datoriale e non la elide.
3.3. Anche il terzo motivo è manifestamente infondato. Con esso si saldano il
piano dell'an della responsabilità e quello del quantum, laddove è palese che a
fondamento delle attenuanti generiche può essere posto solo un elemento che
incide sulla misura del bisogno di pena dell'imputato, la cui responsabilità è
ormai acclarata.
3.4. L'ultimo motivo è inammissibile per carenza di interesse. L'imputato non ha
interesse ad impugnare la sentenza che abbia omesso di pronunciare la condanna
solidale al risarcimento del danno anche a carico del responsabile civile, e che
abbia escluso l'applicazione della manleva dell'assicurato ai sensi dell'art.
1917 cod. civ. da parte del responsabile civile, in quanto il vincolo di
solidarietà tra quest'ultimo e l'imputato ha efficacia "ope legis" e, per il
pagamento delle spese in favore della parte civile, è previsto dall'art. 541,
comma primo, cod. proc. pen. (Sez. 4, Sentenza n. 3347 del 22/12/2016 dep.
23/01/2017, Mirenda e altro, Rv. 269004 - 01).
4. Segue alla declaratoria di inammissibilità del ricorso la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di duemila euro
alla Cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte
civile D.B. che vanno liquidate in euro 2.500,00 oltre spese generali al 15%,
CPA e IVA.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle
ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile D.B. che
liquida in euro 2.500,00 oltre spese generali al 15%, CPA e IVA.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7/11/2019.
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