Penale Sent. Sez. 4 Num. 49900 Anno 2019 Presidente: DI SALVO EMANUELE Relatore: PICARDI FRANCESCA
Penale Sent. Sez. 4 Num. 49900 Anno 2019 Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: PICARDI FRANCESCA Data Udienza: 20/11/2019
Fatto
1. La Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado con
cui G.P. è stato condannato, concesse le generiche equivalenti alla contestata
aggravante, alla pena sospesa di mesi 6 di reclusione, col beneficio della non
menzione, ed al risarcimento del danno a favore delle parti civili (Omissis e
Inail), con previsione di una provvisionale, per il reato di cui all'art. 589,
commi 1 e 2, cod.pen., per avere, in qualità di direttore dei lavori, nominato
in data 17 novembre 2011, e responsabile di fatto ai fini anti-infortunistici,
cagionato la morte di B.B., sepolto dal terreno franato nello scavo in cui il
lavoratore era sceso per meglio collocare una pompa ad immersione, con colpa
consistita nell'omessa designazione del coordinatore per l'esecuzione dei
lavori, pur avendo affidato parte delle opere, in aggiunta alla Athena
Costruzioni s.a.s., alla G. s.r.l nella mancata verifica della idoneità delle
imprese esecutrici, alle quali neppure è stata chiesta l'esibizione dei piani
operativi di sicurezza, e dell'adempimento, da parte delle stesse, nello
svolgimento dello scavo, degli obblighi di cui agli artt. 91 e 92 d.lgs. n. 81
del 2008 e dell'adozione delle necessarie cautele (idonee armature di sostegno
delle pareti dello scavo, puntellature, etc.) ( nel mancato controllo dei lavori
e nella conseguente mancata sospensione degli stessi nonostante la loro
irregolarità - 22 novembre 2011.
2. Avverso tale sentenza ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, a mezzo
del difensore, l'imputato, che ha dedotto: 1) la carenza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione, con travisamento della prova, in ordine
alla ricostruzione dei fatti ed in particolare alla consapevolezza, da parte
sua, della presenza di più imprese nel cantiere, dell'assenza di armature nello
scavo, della condotta della vittima, lamentando la mancata risposta alle
specifiche doglianze proposte su tali punti con l'appello; 2) la violazione di
legge ed il vizio di motivazione, atteso che il direttore dei lavori non
rivestiva la qualità di responsabile dei lavori, non aveva avuto alcuna delega
in materia anti-infortunistica e non si era ingerito nell'organizzazione del
lavoro, non potendosi ritenere un'intromissione la mera raccomandazione di
prestare la dovuta attenzione. In particolare il ricorrente ha evidenziato gli
elementi probatori, da cui si desume che unica impresa incaricata dello scavo
era la G. s.r.l., che lo scavo era poco profondo, che il direttore dei lavori
non era stato informato delle problematiche insorte che avrebbero reso
necessaria l'armatura e che, comunque, la vittima B.B. aveva deciso, in modo
imprudente ed imprevedibile, per ragioni di celerità, di disattendere la sua
indicazione di puntellare.
3. L'I.N.A.I.L. ha depositato memoria, con cui ha eccepito l'inammissibilità del
ricorso proposto dall'imputato.
Diritto
1. Il ricorso non merita accoglimento.
2. La prima censura si limita, in larga parte, a riproporre una diversa
ricostruzione dei fatti, senza affatto confrontarsi con le puntuali
argomentazioni dei giudici di merito, di cui, quindi, non è denunciata alcuna
manifesta illogicità o contraddittorietà.
Riguardo alla consapevolezza, da parte dell'imputato, del coinvolgimento di più
imprese nei lavori, risultano del tutto congrue e coerenti le conclusioni dei
giudici di merito, fondate sulle dichiarazioni del coimputato I.B., secondo il
quale il padre, per non perdere l'incarico affidatogli dai committenti, di
comune intesa con G.P., si era accordato con G. Dichiarazioni che sono state
ritenute attendibili, in quanto confermate dagli indizi desumibili da una serie
di circostanze, quali, ad esempio, la constatazione, da parte di G.P., della
presenza delle due imprese sul cantiere e la conoscenza, da parte sua,
dell'impossibilità per G. e per il suo unico operaio di eseguire celermente il
lavoro. La decisione sul punto risulta, inoltre, conforme all'orientamento della
giurisprudenza di legittimità, secondo cui i riscontri esterni alla chiamata di
correità richiesti dall'art. 192 cod. proc. pen., possono consistere in elementi
di qualsivoglia natura anche di carattere logico, ma che, oltre ad essere
individualizzanti, e, quindi, avere direttamente ad oggetto la persona
dell'incolpato in relazione allo specifico fatto a questi attribuito, debbono
essere esterni alle dichiarazioni accusatorie, allo scopo di evitare che la
verifica sia circolare ed autoreferente (Sez. 6, n. 1249 del 26/09/2013 ud. -
dep. 14/01/2014, Rv. 258759 - 01). I giudici di merito hanno, difatti,
individuato, rispetto alle dichiarazioni del coimputato I.B., elementi di
riscontro di carattere logico, non solo individualizzanti, in quanto riferiti
direttamente all'imputato G.P., ma del tutto esterni alle dichiarazioni del
coimputato, in quanto desunti dalla condotta dello stesso G.P..
Per quanto concerne la profondità dello scavo, il ricorrente ha riproposto la
tesi del suo consulente, che, però, secondo quanto si legge nella sentenza di
primo grado, "contrasta, oltre che con le misurazioni eseguite sul luogo
dall'ispettore P., anche con la quota, indicata nelle tavole del progetto (di «
1,57 m rispetto al piano stradale) della vasca di raccolta delle acque piovane,
punto di partenza della condotta di scarico nella sottostante roggia Quana, che
dimostra come, almeno in prossimità della proprietà V., luogo in cui si è
verificato l'infortunio, lo scavo sotto la via Ronco fosse, nel tratto iniziale,
di profondità superiore a quella di partenza. Peraltro, secondo la versione
dello stesso ricorrente, vi era, a prescindere dalla profondità dello scavo,
quantomeno la necessità di puntellatura, prescritta dall'art. 120 d.lgs. n. 81
del 2008 (v. p. 19 del ricorso).
In proposito va ricordato che è inammissibile il ricorso per cassazione i cui
motivi si limitino genericamente a lamentare l'omessa valutazione di una tesi
alternativa a quella accolta dalla sentenza di condanna impugnata, senza
indicare precise carenze od omissioni argomentative ovvero illogicità della
motivazione di questa, idonee ad incidere negativamente sulla capacità
dimostrativa del compendio indiziario posto a fondamento della decisione di
merito (Sez.2, n. 30918 del 07/05/2015 ud., dep. 16/07/2015, rv. 264441). A ciò
si aggiunga che i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano
intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria
correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez.
5, n. 28011 del 15/02/2013 ud., dep. 26/06/2013, rv. 255568) e che nel giudizio
di legittimità non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione
diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua
contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o
affermato quando mancante) su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione
del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la
persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa
illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente
comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o
evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti
dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria
del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 Ud., dep. 31/03/2015, Rv.
262965). Del resto, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice
di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente
plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli
adottati dal giudice del merito (Sez. 6,n. 47204 del 07/10/2015 ud., dep.
27/11/2015, rv. 265482).
Per mera completezza deve ribadirsi che il vizio di travisamento della prova può
essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta "doppia
conforme", solo laddove il giudice di appello, per rispondere alle critiche
contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati
dal primo giudice, ovvero laddove entrambi i giudici del merito siano incorsi
nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale
macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il
riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di
merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle
parti (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018 ud. - dep. 05/02/2018, Rv. 272018 - 01).
3. Quanto all'asserita abnormità del comportamento della vittima, nella sentenza
di primo grado si è precisato che la condotta di B.B. non può ritenersi
esorbitante o abnorme "in mancanza di specifiche istruzioni a cui attenersi per
la posa della condotta all'interno dello scavo eseguito da G., nonché per la
totale mancanza di un professionista in grado di assicurare il necessario
coordinamento con l'attività svolta dall'altra impresa presente nel cantiere".
Tale decisione risulta del tutto corretta in base all'orientamento della
giurisprudenza di legittimità secondo cui può definirsi tale solo il
comportamento imprudente che sia posto in essere del tutto autonomamente e in un
ambito estraneo alle mansioni affidate, per cui esuli da ogni prevedibilità,
oppure che rientri nelle mansioni affidate ma sia consistito in qualcosa di
radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi,
prevedibili, imprudenti scelte nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 7188 del
10/01/2018 ud. - dep. 14/02/2018, Rv. 272222 - 01).
Va, del resto, sottolineato che, ai fini dell'accertamento della responsabilità
penale, non è possibile attribuire efficienza causale esclusiva alla condotta
del lavoratore medesimo, poiché, anche dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 81
del 2008 il datore di lavoro é titolare di un obbligo di protezione nei
confronti dei lavoratori, sicché le rispettive condotte del datore di lavoro e
del lavoratore rilevano soltanto ai fini di un eventuale concorso di colpe (tra
le tante, v. Sez. 4, n. 5005 del 14/12/2010 ud. - dep. 10/02/2011, Rv. 249625 -
01), rilevante esclusivamente ai fini della quantificazione del danno. Ne deriva
che la colpa della vittima, la cui quantificazione deve avvenire tenendo conto
della sua peculiare posizione di socio di una delle società coinvolte
nell'esecuzione dei lavori, rileva ai fini della quantificazione del danno, ma
non può escludere la responsabilità penale dell'imputato.
4. Parimenti è infondato il secondo motivo.
I giudici di merito hanno fatto corretta applicazione del principio secondo cui,
in tema di prevenzione degli infortuni, il direttore dei lavori nominato dal
committente, pur svolgendo normalmente una attività limitata alla sorveglianza
tecnica attinente all'esecuzione del progetto nell'interesse di questi, risponde
dell'infortunio subito dal lavoratore qualora gli venga affidato il compito di
sovrintendere all'esecuzione dei lavori, con possibilità di impartire ordini
alle maestranze in virtù di una particolare clausola inserita nel contratto di
appalto o qualora, per fatti concludenti, risulti la sua concreta ingerenza
nell'organizzazione del lavoro (da ultimo, in questo senso, Sez. 3 n. 19646 del
08/01/2019 ud. - dep. 08/05/2019, Rv. 275746 - 01). Contrariamente a quanto
asserito nel ricorso, l'ingerenza del direttore dei lavori G.P.
nell'organizzazione dei lavori è stata desunta dai giudici di merito, con una
motivazione esaustiva e non manifestamente illogica, non solo dalla
raccomandazione di cautela rivolta ai lavoratori presenti in cantiere, ma anche
in considerazione della sua partecipazione alla decisione di coinvolgere nei
lavori la G. s.r.l. (v. p. 20 della sentenza di primo grado e p. 12 di quella di
secondo grado).
5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato
al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Così deciso in Roma il 20 novembre 2019
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