Penale Sent. Sez. 4 Num. 48779 Anno 2019 Presidente: MENICHETTI CARLA Relatore: FERRANTI DONATELLA
Penale Sent. Sez. 4 Num. 48779 Anno 2019 Presidente: MENICHETTI CARLA
Relatore: FERRANTI DONATELLA Data Udienza: 19/11/2019
Fatto
l. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Trieste, confermava la
pronuncia del Tribunale di Gorizia del 19.05.2016, che aveva condannato gli
imputati B.A. e B.G. alla pena di euro 800,00 di multa ciascuno e la società
Roen s.p.a. al pagamento della sanzione pecuniaria di euro 17.200,00; revocava
la sanzione interdittiva, applicata dal primo Giudice nei confronti della
società Roen Est spa, del divieto di pubblicizzare beni e servizi.
1.1 B.A. quale datore di lavoro e B.G. quale amministratore delegato e legale
rappresentante pro-tempore della Roen spa, sono imputati del reato di cui
all'art. 113, 590 comma 1,2,3, cod. pen. in relazione agli artt. 28 comma 2 e 37
comma 1 D.Lvo n.81/08 perché, nella qualità sopra indicate, cagionavano, per
colpa, in cooperazione tra loro, al lavoratore C.D., operaio con mansioni di
verniciatore e collaudatore, lesioni personali al dito della mano destra, da cui
derivava una malattia guarita in 135 giorni, nonché una limitazione funzionale
dell'indice destro con onicodistrofia ed iperalgesia del polpastrello, derivanti
dall'aver estratto mediante pressione ( 30 bar) un'ogiva rimasta incastrata
all'interno di una forcina di uno scambiatore a pacco che, quindi, fuoriusciva e
colpiva con violenza il secondo dito della mano destra. Si contesta la condotta
colposa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia e violazione delle
norme di prevenzione e in particolare di non aver adeguatamente valutato il
rischio connesso all'attività specifica relativa all'attività di estrazione
delle ogive, nel caso di incastro accidentale e di mal funzionamento degli
impianti in produzione e più in particolare degli scambiatori di calore a pacco
alettato; nonché di aver omesso di formare in modo adeguato il C.D. in
riferimento al concetto di rischio, danno, prevenzione e protezione rischi
riferiti alle mansioni svolte e alle conseguenti misure di prevenzione del
settore o del comparto di appartenenza all'azienda.
1.2. La Roen s.p.a. è imputata del reato previsto e punito dall'art. 25 septies
D.lgs n.231/2001, in relazione al reato di cui all'art. 590 comma 1 e 3 cod.pen.,
avendo omesso di predisporre efficacemente ed attuare un modello di
organizzazione e gestione al fine di prevenire la commissione di delitti di
lesioni colpose derivanti dalla violazione delle norme antinfortunistiche a
vantaggio della società. Fatto commesso in Ronchi l'8.10.2012.
1.3 Il DR., responsabile del servizio prevenzione protezione sicurezza e salute
per conto di Roen est. Spa, è stato assolto per non aver commesso il fatto
all'esito del giudizio di primo grado.
1.4 L'infortunio, secondo la ricostruzione della Corte territoriale, che riporta
puntualmente le risultanze dibattimentali del giudizio di primo grado, avveniva
con le seguenti modalità:
il dipendente operaio, C.D., addetto al reparto collaudo, l'8.10.2012 era
intento assieme al collega M. ad estrarre un'ogiva (piccola sfera in alluminio)
che, durante la fase di lavorazione, cd. di mandrinatura (operazione meccanica
che permette il serraggio dei tubi di rame componenti il pacco alettato di uno
scambiatore di calore in fase di produzione mediante il passaggio all'interno
delle forcine di piccole sfere di alluminio cd. ogive), effettuata in altro
reparto, si era incastrata all'interno di una forcina in rame; C.D. e M.
effettuarono l'operazione di estrazione utilizzando l'aria compressa, per cui il
M. posizionò il pressino dell'aria in una delle due estremità della forcina
mentre il C.D. reggeva con la mano, all'altra estremità, un manicotto in metallo
che avrebbe dovuto raccogliere l'ogiva, una volta espulsa per effetto dell'aria
compressa; accadde che l'aria, con una pressione di 30 atmosfere, e l'ogiva
espulsa andavano a colpire a forte velocità il dito indice della mano destra del
C.D., provocandogli una frattura pluriframmentaria.
I Giudici del merito argomentavano che sia B.A. che B.G. avevano omesso di
prevedere e valutare nel DUVRI il rischio specifico, connesso con l'estrazione
delle ogive in caso di incastro accidentale,(evento prevedibile e assai
frequente), nonché di informare e formare adeguatamente gli operai circa i
rischi connessi all'operazione, che doveva essere effettuata invece mediante la
c.d. canottatura (fol 3); condotte omissive che hanno consentito ed agevolato il
consolidarsi di una prassi pericolosa nei reparti di mandrinatura e collaudo,
per nulla valutata nonostante fosse nota a tutti gli operai.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati e la
società, a mezzo dei difensori, deducendo i seguenti motivi:
2.1 B.G. e Roen est s.p.a. con l'Avv. Angelo ME. hanno dedotto:
1) violazione di legge con particolare riferimento all'art. 43 cod.pen. in
relazione alla prevedibilità concreta del rischio e conseguente mancanza e
contraddittorietà della motivazione. B.G. deduce di aver assunto la posizione di
garanzia datoriale il 5.09.2012, cioè solo 34 giorni prima l'infortunio,
avvenuto l'8.10.2012. Non poteva quindi in un lasso di tempo così breve
prevedere ed essere messo a conoscenza della situazione pericolosa (cioè
l'utilizzo dell'aria compressa per risolvere il problema di incastro delle
ogive), trattandosi di un' operazione di esecuzione di un reparto di un'azienda
di grandi dimensioni che non può essere ricondotta alla diretta gestione del
rischio da parte del datore di lavoro. Appena insediatosi aveva dato avvio ad
un'immediata revisione del documento di valutazione del rischio affidando
l'incarico ad una consulenza specializzata. Non era stata mai segnalata dal
responsabile del servizio di prevenzione la situazione di pericolo connessa allo
svolgimento delle diverse lavorazioni attraverso il lavoro di controllo e
verifica quotidiano, soprattutto rispetto ad una prassi non conforme alle regole
della sicurezza di cui il B.G. non aveva avuto conoscenza.
2) Violazione di legge in relazione art. 5 Dlgs 231/01, in quanto, in base ad
un'affermazione apodittica, si è ritenuto che la società Roen non abbia
organizzato la formazione del personale sullo specifico rischio e ciò al fine di
realizzare risparmi sui costi di impresa a scapito della sicurezza sul lavoro; e
comunque la Corte di Appello ha omesso di valutare che l'utilizzo del metodo
errato dell'estrazione dell'ogiva, attraverso l'aria compressa, porterebbe a un
risparmio così irrisorio, quantificato dal CT della difesa in euro 1,27 per ogni
forcina da estrarre, che certo non poteva influenzare le sorti economiche della
società.
2.2. B.A. con l' Avv. Giacomo L. ha dedotto:
I) Violazione delle norme processuali a pena di nullità per difetto di
correlazione tra imputazione e sentenza.
Infatti mentre nel capo di imputazione la contestazione riguarda l'omessa
valutazione all'interno del Documento di valutazione dei rischi connessi alla
procedura di estrazione dell'ogiva in caso di incastro accidentale nella
forcina, in motivazione ha ritenuto un comportamento diverso ossia la scelta
errata dei preposti dei reparti di mandrinatura e di collaudo e del responsabile
del servizio di prevenzione e protezione( pag. 20 );
II) Violazione di legge per erronea applicazione degli artt. 40 e 41 cod.pen. e
mancanza e illogicità della motivazione in ordine alla interruzione del nesso
causale. Invero risulta che i lavoratori C.D. e M. hanno adoperato l'aria
compressa, dispositivo di cui disponeva il reparto collaudo per realizzare
un'operazione relativa all'estrazione dell'ogiva che doveva essere realizzata
attraverso altre operazioni (tagliare e accorciare le estremità dei tubi ed
estrarre manualmente), come risulta dalla testimonianza resa dal DR.,
responsabile servizio prevenzione e protezione.
Il lavoratore infortunato ha posto in essere un comportamento abnorme per aver
utilizzato la strumentazione in dotazione per altra finalità, il collaudo, e per
aver svolto una mansione non di sua pertinenza, dovendosi limitare a testare la
tenuta delle tubature dello scambiatore di calore lavorando su prodotti già
assemblati. Conseguentemente il suo comportamento ha interrotto il nesso causale
e esclude la rimproverabilità soggettiva rispetto all'omesso impedimento a
carico del datore di lavoro per il quale il comportamento del lavoratore era del
tutto imprevedibile ;
III) Violazione di legge con riferimento all'art. 43 comma 3 cod.pen. illogicità
e contraddittorietà della motivazione in relazione alla presunta prevedibilità
dell'evento lesivo verificatosi nel caso di specie.
Nessuno aveva mai segnalato al B.A. la prassi dell'estrazione dell'ogiva con
l'aria compressa e quindi era nella impossibilità di prevedere il rischio e di
predisporre gli accorgimenti per evitarlo.
L'operazione doveva essere impedita dai garanti più prossimi al ciclo produttivo
dell'impresa; il responsabile del servizio di prevenzione e protezione ha omesso
di segnalare colposamente al datore di lavoro una situazione di rischio; non è
esigibile che il datore di lavoro impedisca la trasgressione volontaria delle
norme antinfortunistiche da parte dei lavoratori stessi.
IV) Violazione dell'art. 43 comma 3 cod.pen. e illogicità della motivazione con
riferimento alla presunta prevedibilità dell'evento lesivo.
In base alla conoscenze in suo possesso il B.A. non poteva prevedere che una
operazione attinente al reparto mandrinatura venisse assolta dagli operai del
reparto collaudo i quali erano stati formati per altre mansioni; non è
prevedibile e non è esigibile che il datore di lavoro impedisca la trasgressione
dolosa delle norme antinfortunistiche da parte del preposto al reparto di
mandrinatura. La corte territoriale addebita a tal proposito una colpa in
eligendo al datore di lavoro attraverso un ragionamento ed una contestazione ex
post che non faceva parte della imputazione.
Il B.A. aveva predisposto un idoneo organigramma in cui venivano ripartiti i
compiti di prevenzione tra i diversi garanti; nonché verifiche periodiche per la
certificazione della qualità della produzione. Lamenta che nessuno gli ha
rappresentato la prassi lavorativa errata dell'utilizzo dell'aria compressa.
V) violazione di legge con riferimento all'art. 40 comma 2 cod.pen.
L'imputato B.A. dall'ottobre 2012 aveva cessato tutti gli incarichi e non
rivestiva la qualifica di datore di lavoro e l'Amministratore delegato
subentrante si è occupato nell'immediatezza della gestione aziendale
sovrapponendosi alle scelte effettuate nel periodo precedente. Risulta infatti
che due settimane prima dell'infortunio il nuovo memagement ha realizzato un
inedito procedimento operativo proprio nel reparto collaudo con un registro
delle analisi delle perdite di collaudo all'interno del manuale del sistema
gestione qualità ispirato alla casistica per la prima volta dei dati relativi
alle forcine dello scambiatore di calore (voce che contemplava anche l'incastro
dell'ogiva a dire del CT difesa del B.G.. L'adozione di questa procedura guasti
all'interno del reparto collaudo ha innovato le scelte gestionali assunte dal
precedente amministratore delegato interrompendo la posizione di garanzia.
Diritto
1. I ricorsi sono infondati per i motivi di seguito indicati.
2. Va premesso che correttamente la Corte distrettuale ha ritenuto che su B.A. e
B.G., entrambi datori di lavoro, avendo ricoperto la carica di amministratori
delegati, il primo fino al 5 settembre 2012 e il secondo nel periodo successivo
in cui si è verificato l'infortunio, incombevano gli obblighi di acquisire una
adeguata consapevolezza della situazione e dello svolgimento usuale delle
lavorazioni in azienda, con precipuo riferimento a prassi consolidate in uso non
conformi alle regole della sicurezza e di adottare le misure organizzative
necessarie perché le predette lavorazioni venissero eseguite secondo le modalità
di sicurezza non solo quindi prevedendo e valutando nel documento per la
valutazione dei rischi, cd. DUVRI, il rischio specifico connesso all'estrazione
di ogive, in caso di incastro accidentale, ma attuando la conseguente
informazione e provvedendo a colmare le lacune nella formazione dei lavoratori.
La colpa degli imputati è stata, pertanto, correttamente individuata nella
carenza di ordine organizzativo generale e non nell'omessa costante sorveglianza
delle modalità di lavorazione.
In sostanza, a fronte di una consolidata prassi, in quella specifica fase della
lavorazione, la cd. mandrinatura, consistente nell'inserimento delle ogive
attraverso il mandrino all'interno dei tubi di rame componenti il pacco alettato
degli scambiatori prodotti in azienda, che presentava così evidenti e frequenti
rischi infortunistici, (risulta infatti dall'istruttoria dibattimentale che
l'ogiva si staccava con una frequenza di circa 15 giorni-un mese, fol 4 sentenza
di primo grado), era richiesto agli imputati, proprio nell'espletamento delle
loro mansioni dirigenziali, di adottare le necessarie misure dirette ad evitare
il protrarsi di quella pericolosa modalità di lavorazione mediante l'uso
dell'aria compressa, compiendo e ponendo in essere le scelte gestionali di fondo
riconducibili al vertice societario ( Sez. 4 n. 22606 del 4.04.2017 rv
26997201).
2.1. L'operazione corretta standardizzata per rimuovere in sicurezza le ogive
dalle forcine, era la cd. canottatura, che, come sottolineato dal Giudici di
merito (fol 4 sentenza di primo grado e fol. 20 e 21 sentenza impugnata),
risulta condivisa anche dai CT della difesa e conferma il fatto che quel rischio
era concretamente prevedibile e poteva essere evitato mediante la dovuta
formazione e informazione dei lavoratori del reparto collaudo e mandrinatura e
la previsione di chiare disposizioni e istruzioni nel documento di valutazione
dei rischi, obbligo che incombe direttamente sul datore di lavoro e che non è in
quanto tale delegabile ex art. 17 D.lgs m. 81/2008 ( Cfr Sez. 4 n. 50605 del
5.04.2013 rv 258125 ; Sez. 4 n. 18638 del 16.01.2004 rv 228344-01).
2.2 La sentenza impugnata si è soffermata su tale punto indicando le condotte
doverose omesse, sintomatiche della carenza organizzativa addebitata ad entrambi
gli imputati ciascuno per il rispettivo periodo di riferimento: la omessa
previsione nel Duvri, la omessa formulazione di adeguate istruzioni scritte, la
mancata formazione specifica relativamente alle fasi di lavorazione nel reparto
mandrinatura e collaudo, il conferimento di idonee e specifiche istruzioni ai
preposti perché esercitassero adeguata sorveglianza sugli operatori, con la
verifica anche da parte di essi che le istruzioni stesse fossero state
effettivamente adempiute ed avessero perseguito il risultato.
La Corte territoriale inoltre, a proposito del B.G., sottolinea che
quest'ultimo, nel momento in cui aveva assunto la carica, aveva istituito il
registro delle non conformità proprio nel reparto collaudo e che tale
monitoraggio aveva evidenziato in appena 15 giorni il verificarsi di dodici
inconvenienti inerenti proprio le forcine di rame che componevano gli
scambiatori di calore, (fol. 17 e 21) e che ciò doveva rendere evidente anche al
nuovo amministratore delegato che quello specifico segmento della produzione
meritava un'attenzione immediata e un intervento specifico; mentre a nessuno
degli addetti al reparto collaudo erano state date né direttive verbali né
tantomeno scritte sulla procedura da osservare nel caso fosse arrivato il pezzo
dal reparto mandrinatura, tantomeno era stato vietato di intervenire sullo
scambiatore per disincastrare l'ogiva mediane l'uso dell'aria compressa.
I principi sopra indicati sono in linea con la giurisprudenza consolidata di
questa Corte e risultano calzanti con riferimento alla posizione degli imputati.
3. Passando all'esame del ricorso B.A., la cui posizione è stata compiutamente
esaminata a fol 18 e 19 della sentenza impugnata , va rilevato che il primo
motivo è manifestamente infondato.
3.1 Invero va ribadito che nei procedimenti per reati colposi l'aggiunta di un
particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo originariamente
contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini
dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 cod. proc. pen. e
della eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto
di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 stesso codice
(Sez. 4, n. 18390 del 15/02/2018 Ud. (dep. 27/04/2018 ) Rv. 273265 - 01; Sez. 4,
n. 31968 del 19/05/2009, Rv. 245313).
Nel caso di specie inoltre la Corte territoriale ha ribadito, a fol 18, con
riferimento alla posizione di garanzia rivestita dal B.A., quanto accertato dal
giudice di primo grado e cioè il venire meno agli obblighi di previsione nel
Duvri del rischio specifico e di adeguata formazione e informazione del
lavoratore in relazione al concretizzarsi di tale rischio, condotte che se poste
correttamente in essere avrebbero potuto evitare l'infortunio. In più ha
argomentato che proprio la lunga durata della prassi pericolosa instauratasi in
azienda per l'estrazione delle ogive incastrate e il fatto che la stessa
coinvolgeva gli operai di due reparti, quello di mandrinatura e collaudo, non
rende credibile la tesi difensiva che i preposti non se ne fossero accorti o che
non ne abbiano informato i vertici aziendali, a meno di non ritenerne, motiva la
Corte di appello/ fol 20) l'assoluta inadeguatezza e incompetenza che però
andrebbe a ricadere come ulteriore addebito, di culpa in vigilando, sullo stesso
datore di lavoro che tra l'altro nel caso di specie aveva tenuto in capo a sé
tutte le attribuzioni in materia di sicurezza sul lavoro.
3.2. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo che possono essere trattati
congiuntamente, non si confrontano adeguatamente con gli elementi utilizzati
dalla Corte di appello per pervenire al convincimento di responsabilità
dell'imputato, attraverso argomenti e indicazioni puntuali che tengono conto dei
risultati dei due gradi di merito (testimonianze dei lavoratori e verbali di
sopralluogo dei funzionari ASL in merito alla ricostruzione dell'infortunio).
3.2.La ricostruzione dei fatti ripercorsa dalla Corte territoriale ha accertato
l'omessa previsione e valutazione nel Duvri del rischio specifico, connesso
all'estrazione delle ogive in caso di incastro accidentale, nonché l'omessa
informazione e formazione del lavoratore in ordine ai rischi connessi alle
mansioni svolte, essendo emerso dall'istruttoria dibattimentale che il distacco
durante la mandrinatura delle ogive avveniva con un frequenza di 15-30 giorni,
per cui il rischio non poteva ritenersi remoto e imprevedibile per il datore di
lavoro, mentre l'operazione corretta di estrazione dell'ogiva descritta dai CT
come la c.d. canottatura nelle diverse varianti ( fol 3), non solo non era
prevista nel Duvri ma non era stata oggetto di specifiche istruzioni nè di
procedure di formazione dei dipendenti. La Corte territoriale ha altresì
evidenziato che dall'istruttoria dibattimentale era emerso che l'incastro di
un'ogiva all'Interno di una delle tante forcine di rame che componevano uno
scambiatore di calore era un inconveniente che si verificava con frequenza
durante le operazioni di mandrinatura, noto ai lavoratori dei reparti, ai
caporeparti e al RSPP ( fol da 12 a 15); era emersa inoltre che quella prassi
pericolosa, era utilizzata in quanto accelerava i tempi delle lavorazioni del
reparto mandrinatura, perché la soluzione dell'incastro dell'ogiva veniva
trasferito mandando il pezzo della batteria al reparto collaudo, che utilizzava
l'insufflazione di aria compressa dentro la forcina come era stato fatto il
giorno dell'incidente; nelle due settimane precedenti all'infortunio il nuovo
amministratore delegato, B.G., aveva fatto istituire il registro delle non
conformità proprio nel reparto collaudo e ciò aveva consentito di registrare ben
12 interventi relativi a riparazioni per perdita del pacco alettato su forcina,
dovuti a vari difetti (fol 17). Quindi, affermava la Corte territoriale, si
trattava di un inconveniente tutt'altro che raro ed eccezionale né imprevedibile
che non era stato previsto nel DUVRI e nessuno dei dipendenti aveva avuto la
minima formazione specifica o istruzione su come affrontare il rischio: di fatto
i lavoratori agivano di loro iniziativa ed in base all'esperienza, secondo una
prassi rischiosa che nessuno dei due titolari della posizione di garanzia che si
erano succeduti aveva interrotto.
L'evento dannoso occorso al C.D. integra pertanto la concretizzazione proprio
del rischio che un'adeguata informazione e formazione del lavoratore, in uno con
la previsione nel DUVRI, avrebbe potuto evitare.
E' evidente, pertanto, come valorizzato da entrambi i Giudici di merito, che si
trattava di compiti non delegabili di predisposizione del documento di
valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro. Nel caso concreto, spicca
la violazione dell'obbligo di elaborare in maniera adeguata il documento di
valutazione dei rischi contestato agli imputati e nemmeno negato dal punto di
vista oggettivo dalla difesa.
3.2.2. Infondato è anche il rilievo che contesta il giudizio di non abnormità
del comportamento del C.D.. La Corte di Appello ha fatto corretta applicazione
dei principi formulati a tale riguardo dal giudice di legittimità. Nell'ampia
serie di pronunce possono rammentarsi quelle che insegnano non essere idoneo ad
escludere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e
l'evento lesivo o mortale patito dal lavoratore il compimento da parte di
quest'ultimo di un'operazione che, seppure inutile e imprudente, non risulta
eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del
ciclo produttivo (Sez. 4, n. 7955 del 10/10/2013 - dep. 19/02/2014, Rovaldi, Rv.
259313); e quella secondo la quale, perché la condotta colposa del lavoratore
possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la
condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa
sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio
eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare
della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 - dep. 27/03/2017,
Gerosa e altri, Rv. 269603). Nel caso che occupa è fuor di dubbio che il
sinistro si sia verificato mentre il lavoratore svolgeva i compiti che gli erano
stati assegnati; l'imprudenza o la negligenza nella operazione effettuata di
disincastro dell'ogiva, attraverso l'uso dell'aria compressa, rappresenta
proprio la concretizzazione del rischio che le regole prevenzionistiche
riferibili alla formazione all'informazione e alla precisa previsione nel Duvri
dovevano evitare.
4. Il quinto motivo del ricorso B.A. può essere trattato congiuntamente al primo
motivo del ricorso B.G., in quanto basati specularmente sulle medesime
argomentazioni volte ciascuno a escludere la propria responsabilità soggettiva
in quanto il B.A. non ricopriva più l'incarico e la posizione di garanzia alla
data dell'8 ottobre 2012 in cui si verificò l'infortunio e il B.G., essendo
subentrato da appena un mese, non avrebbe potuto in un così breve lasso di tempo
essere messo a conoscenza della situazione e della prassi pericolosa che non gli
era stata segnalata e anzi aveva avviato un'immediata revisione del documento di
valutazione dei rischi.
I motivi, entrambi infondati, trovano adeguata risposta nelle approfondite
argomentazioni della Corte territoriale, (svolte a fol 20 21 22j che si saldano
a quelle del Primo giudice e nelle considerazioni già svolte al paragrafo 2.
Il dato da cui bisogna partire nel caso in esame è la sussistenza nell?azienda
di una prassi, molto risalente nel tempo, a tutti nota,secondo la quale
l?operazione di disincastro delle ogive veniva effettuata nel reparto collaudo
attraverso l'insufflazione di aria compressa anziché mediante la cd.
canottatura, trattandosi di una modalità più veloce e comoda. È altresì
incontroversa la mancanza di istruzioni operative sul punto né di valutazione
del rischio specifico nel documento di valutazione da parte del B.A. prima e del
B.G. dopo, oltre all?omesso svolgimento di attività di formazione specifica
relativamente a queste fasi di lavorazione. Il ricorrente B.G. contesta il
ritenuto nesso di causalità tra le violazioni addebitate e l?evento nonché in
ogni caso, l?asserita riconducibilità delle predette violazioni alla sua
responsabilità, censurando la decisione nella parte in cui aveva tralasciato di
considerare la recente assunzione della carica rispetto alla verificazione
dell?infortunio, osservando altresì che gli eventuali addebiti erano imputabili
a coloro sui quali gravava in precedenza l?obbligo di formazione e di previsione
del rischio. Tale impostazione difensiva non è condivisibile. La ricostruzione
dell?infortunio operata dai giudici di merito attraverso le testimonianze e gli
accertamenti svolti del fatto - sostanzialmente non contrastata dagli imputati -
giustifica le conclusioni a cui sono pervenuti con riferimento alla rilevanza
causale delle violazioni alla normativa antinfortunistica sopra richiamata.
Non è mai stato contestata, infatti, come sopra evidenziato, l?esistenza, in
quella specifica fase della lavorazione, di una prassi risalente nel tempo, da
tutti tollerata ed evidentemente nota in azienda. Non è mai stata contestata
neanche la pericolosità di quella prassi per la salute dei lavoratori.
L'infortunio non si è, pertanto, verificato a seguito di una estemporanea ed
imprevedibile iniziativa del lavoratore. Questo quadro fattuale è stato
correttamente e logicamente posto dai giudici di merito a fondamento del
giudizio di rilevanza causale delle predette violazioni nella determinazione
dell'evento. Se non vi fossero state le citate carenze organizzative
riconducibili ad entrambi gli amministratori delegati che si sono succeduti e
se, quindi, i lavoratori avessero assimilato le relative corrette modalità di
lavorazione e si fossero alle stesse adeguate, l'infortunio non si sarebbe
presumibilmente verificato. Il giudizio controfattuale, formulato in questi
termini, non presenta alcuna manifesta illogicità siccome scaturente e dedotta
dalle risultanze di causa correttamente evidenziate e le deduzioni difensive
tendono a prospettare elementi possibilisti incapaci di inficiare quella
conclusione.
Il dato inequivoco emergente dagli atti è la esistenza in azienda di quella
prassi consolidata nota a tutti e che non doveva sfuggire a chi ricopriva
l'incarico di datore di lavoro mantenendo in capo a sé tutte le attribuzioni in
materia di sicurezza, come tale, ricoprente posizione di garanzia in materia
antinfortunistica a tutela della incolumità e della salute dei lavori dipendenti
in servizio nello stabilimento. Nè in senso contrario depone che il B.G. aveva
assunto tale incarico da circa un mese, dovendosi ritenere tale tempo utile
certamente per l'assunzione di un'adeguata consapevolezza dello stesso sulla
concreta situazione aziendale (fol 21). Infatti sul punto la Corte territoriale
ha messo in luce che lo stesso B.G. aveva posto in essere varie iniziative in
materia di sicurezza e prevenzione tra cui proprio il registro della non
conformità nel reparto collaudo che in soli 15 giorni aveva fatto emergere ben
12 inconvenienti inerenti le forcine di rame che componevano gli scambiatori di
calore e che quindi imponeva un'attenta valutazione del rischio specifico e un
intervento almeno nelle direttive urgenti ai preposti. In questi termini, sono
ineccepibili le conclusioni della sentenza impugnata quando questa afferma che
la negligenza degli imputati va ravvisata non nell'inadempimento all'obbligo di
vigilanza e sorveglianza costante sulle lavorazioni in relazione ad istruzioni
già precedentemente impartite ma nelle carenze di ordine organizzativo generale,
sopra specificate, idonee a prevenire i rischi infortunistici in quella fase
della lavorazione che, se poste in essere, avrebbero presumibilmente evitato il
verificarsi dell'infortunio.
Risulta palese che la Corte di Appello ha inteso fare applicazione del principio
espresso dal giudice di legittimità secondo il quale, il datore di lavoro deve
controllare che il preposto, nell'esercizio dei compiti di vigilanza
affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in
aggiunta, impartitegli; ne consegue che, qualora nell'esercizio dell'attività
lavorativa si instauri, una prassi "contra legem", foriera di pericoli per gli
addetti, in caso di infortunio del dipendente la condotta del datore di lavoro
che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che
abbia omesso ogni forma di sorveglianza e di tempestivo intervento circa la
pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di lesione colposa
aggravato dalla violazione delle norme ( Sez. 4 n. 26294 del 14.03.2018 rv
272960-01;Sez. 4, n. 18638 del 16/01/2004 - dep. 22/04/2004, Policarpo, Rv.
228344).
Infine, va ribadito che la molteplicità delle posizioni di garanzia in funzione
delle rispettive attribuzioni e competenze, non esclude che, nel concreto,
chiamati a rispondere della violazione possano essere più soggetti contitolari
di posizioni di garanzia concorrenti e convergenti rispetto alla medesima
finalità prevenzionale.
5. Il secondo motivo del ricorso presentato dall'Avv. ME. per la Roen est
s.p.a., è infondato.
Sul punto la Corte territoriale rispondendo ad analoga censura, a fol 22 23, ha
chiarito che nessun modello organizzativo era stato adottato ed efficacemente
attuato dagli organi dirigenti della Roen est s.p.a. idoneo a prevenire reati
della specie di quello che si è verificato anzi è stato accertato che, proprio
la mancanza della previsione del rischio specifico, di idonee istruzioni e di
disposizioni precise agli operai sulla corretta gestione da seguire per
eliminare l'inconveniente che ricorreva frequentemente nel ciclo produttivo, la
mancata formazione ed istruzione del lavoratore, in uno con il sistema della
insufflazione ad aria compressa, utilizzato di fatto dai lavoratori mediante una
prassi avallata da lungo tempo, aveva certamente portato ad un risparmio di
spesa e un minor dispendio dei tempi di esecuzione oltre che dei materiali
rispetto alla procedura corretta, la cd. canottatura, che implicava invece il
taglio delle forcine di rame otturate, con conseguente necessità, di procedere
di nuovo alla saldatura.
5.1. Le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. sent. n. 38343 del24/4/2014,
Espenhahn ed altri) hanno avuto modo di precisare che i concetti di interesse e
vantaggio, nei reati colposi d'evento, vanno di necessità riferiti alla condotta
e non all'esito antigiuridico. Questa appare, intatti, l'unica interpretazione
che non svuota di contenuto la previsione normativa e che risponde alla ratio
dell'inserimento dei delitti di omicidio colposo e lesioni colpose nell'elenco
dei reati fondanti la responsabilità dell'ente, in ottemperanza ai principi
contenuti nella legge delega: indubbiamente, non rispondono all'interesse della
società, o non procurano alla stessa un vantaggio, la morte o le lesioni
riportate da un suo dipendente in conseguenza di violazioni di normative
antinfortunistiche, mentre è indubbio che un vantaggio per l'ente possa essere
ravvisato, ad esempio, nel risparmio di costi o di tempo che lo stesso avrebbe
dovuto sostenere per adeguarsi alla normativa prevenzionistica, la cui
violazione ha determinato l'infortunio sul lavoro.
E' stato affermato che ¡ termini "interesse" e "vantaggio" esprimono concetti
giuridicamente diversi e possono essere alternativi: ciò emerge dall'uso della
congiunzione "o" da parte del legislatore nella formulazione della norma in
questione e, da un punto di vista sistematico, dalla norma di cui all'art. 12,
che al comma 1 lett. a) prevede una riduzione della sanzione pecuniaria nel caso
in cui l'autore ha commesso il reato nell'interesse proprio o di terzi e l'ente
non ne ha ricavato vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo, il che
implica astrattamente che il reato può essere commesso nell'interesse dell'ente,
ma non procurargli in concreto alcun vantaggio.
Nei reati colposi d'evento, il finalismo della condotta prevista dall'art. 5
d.lgvo n. 231/2001 è compatibile con la non volontarietà dell'evento lesivo,
sempre che si accerti che la condotta che ha cagionato quest'ultimo sia stata
determinata da scelte rispondenti all'interesse dell'ente o sia stata
finalizzata all'ottenimento di un vantaggio per l'ente medesimo ( Sez. 4, n.
2544 del 17/12/2015 Ud. (dep. 21/01/2016 ) Rv. 268065 - 01).
5.2. Ricorre il requisito del vantaggio, come affermato nel caso di specie,
allorché la persona fisica, agendo per conto dell'ente, pur non volendo il
verificarsi dell'evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato
sistematicamente le norme prevenzionistiche e, dunque, ha realizzato una
politica d'impresa disattenta alla materia della sicurezza del lavoro,
consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con
conseguente massimizzazione del profitto.
Tale accertamento risulta essere stato compiuto dai giudici di merito che, all'
esito dell'istruzione dibattimentale, hanno ritenuto provate - oltre alla
sussistenza del delitto di cui all'art. 590 in danno dell'operaio dipendente,
commesso con plurime violazioni della normativa in materia di sicurezza del
lavoro dal legale rappresentante della società - la protratta sistematica
violazione della normativa prevenzionistica a vantaggio dell'ente, che aveva
comunque risparmiato i costi connessi alla mancata messa in opera della
procedura corretta di c.d. cannottatura, che implicava il taglio delle forcine
di rame con conseguente necessità di procedere poi alla saldatura, mentre la
prassi pericolosa consentita e avallata dell'insufflazione di aria compressa,
realizzava di fatto un procedimento più snello e rapido che quindi accelerava i
tempi di produzione; nonché la circostanza che la società aveva comunque
risparmiato i costi connessi ad un'adeguata attività di formazione ed
informazione dei lavoratori.
6. In conclusione i ricorsi devono essere rigettati e i ricorrenti condannati al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 19.11.2019
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