Penale Sent. Sez. 4 Num. 48771
Presidente: DOVERE SALVATORE Relatore: FERRANTI DONATELLA
Penale Sent. Sez. 4 Num. 48771
Presidente: DOVERE SALVATORE Relatore: FERRANTI DONATELLA Data Udienza:
12/11/2019
Fatto
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di Appello di Potenza confermava la
condanna del Tribunale di Potenza pronunciata il 7.05.2015 nei confronti di A.C.,
imputato del reato di cui all'art. 589 cod.pen., secondo la seguente
contestazione: perché nella sua qualità di datore di lavoro e legale
rappresentante della omonima ditta aveva cagionato la morte, con colpa
consistita in imprudenza, negligenza, imperizia e violazione delle norme per la
prevenzione degli infortuni sul lavoro, del dipendente T.S., operaio muratore;
con colpa specifica consistita, in particolare, nella violazione di cui al
D.P.R. n. 164 del 1956, artt. 16 e 7 e all' art. 26 DPR n.547/55, per non aver
realizzato un idoneo parapetto e opere provvisionali costruite con buon
materiale e a regola d'arte, proporzionate e idonee allo scopo, conservate in
stato di efficienza per tutta la durata dei lavori, atte ad impedire la caduta
dall'alto, durante i lavori di demolizione e ricostruzione di un fabbricato
urbano sito in Sant'Angelo le Fratte; di tal che, in conseguenza di tale
omissione, il T.S., che stava lavorando alla messa in opera del materiale di
copertura del balcone, accovacciato con le spalle rivolte al parapetto,
costituito da una protezione provvisoria composta da assi di legno e tubolari
tenuti insieme dal fil di ferro, nel momento in cui si appoggiava, per reggersi
o rimettersi in piedi, al corrente intermedio, costituito da una tavola di cm 9
di larghezza e dello spessore di 2,5 cm, ancorata a due piantoni distanti 1.34
cm, con il solo fil di ferro in maniera sfalzata, la tavola cedeva spezzandosi,
così determinando la caduta nel vuoto dell'operaio, che, da un'altezza di 4,5 mt,
sbatteva violentemente la testa e si procurava le lesioni descritte nel capo di
imputazione, a seguito delle quali decedeva. In Sant'Angelo Le fratte il
21.11.07.
2. Il Tribunale aveva affermato la penale responsabilità dell'imputato
condannandolo alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento dei danni
in favore della parte civile nonché al versamento della provvisionale pari ad
Euro 60.000,00 provvisoriamente esecutiva. A seguito di rituale impugnazione
dell'imputato, la Corte d'Appello di Potenza confermava l'affermazione di
colpevolezza pronunciata dal primo giudice, disattendendo la tesi difensiva
secondo cui l'imputato sarebbe caduto a seguito di un malore, per una miscela di
farmaci e alcool, e ribadendo l'assoluta inidoneità della protezione realizzata
sul balcone, costituita da un'asse di legno assicurata con fil di ferro a dei
montanti in ferro che, sottoposta alla pressione del corpo umano, ha ceduto,
facendo precipitare la vittima dall'altezza di oltre 2 metri. La Corte stessa
confermava altresì il trattamento sanzionatone riservato dal primo giudice e le
statuizioni civili.
2.1 In punto di responsabilità, la Corte distrettuale osservava che: il garante
della sicurezza sul luogo di lavoro, nel caso di specie, era soltanto l'A.C.,
posto che l'infortunio era avvenuto all'interno dell'area di rischio nella quale
si collocava il primario obbligo del datore di lavoro (cioè l'imputato) di
assicurare le più appropriate condizioni di sicurezza al lavoratore, anche in
rapporto a possibili comportamenti trascurati o disattenti del lavoratore
stesso; le circostanze addotte a supporto dell'argomentare difensivo, o non
erano state provate o dovevano considerarsi erronee; non era stato provato
l'asserito "malore" del dipendente ( anzi il teste L., indicato dalla difesa,
era stato ritenuto falso o reticente dal primo giudice che aveva trasmesso gli
atti alla Procura della Repubblica); risultava che già in data 19.10.2007, poco
più di un mese prima, gli ispettori del lavoro avevano constatato, ai sensi
dell'art. 77 lett. c DPR 164/56, la mancanza di idonee protezioni contro il
pericolo di cadute dall'alto e lo avevano diffidato a non far proseguire i
lavori prima di aver eliminato la violazione accertata e contestata; la
documentazione fotografica aveva evidenziato l'assoluta inadeguatezza della
protezione costituita da un'asse di legno assicurata con un fil di ferro; quanto
all'entità della pena, precisava la Corte territoriale che nulla poteva essere
mutato rispetto all'equo e congruo trattamento operato dal Primo Giudice, avuto
riguardo all'accentuata gravità del fatto, non solo per le sue modalità, ma
anche per i precedenti penali dell'imputato.
3. Ricorre per cassazione l'A.C., tramite il difensore di fiducia, deducendo
violazione di legge e vizio di motivazione relativamente all?affermazione della
colpevolezza ed al trattamento sanzionatorio, con censure che possono così
riassumersi:
I) Lamenta che l'oggetto della contravvenzione da parte dell'Ispettorato del
lavoro riguardava l'assenza di parapetto non la sua inadeguatezza; si trattava
di un parapetto artigianale rispondente ai requisiti di cui all'art. 26 DPR n.547/55;
l'infortunio era stato causato dalla rottura della tavola centrale non
dall'ancoraggio artigianale con filo di ferro, perfettamente a norma UNI EN
13374/2004; la Corte territoriale ha liquidato in modo frettoloso la
ricostruzione fornita dal teste L. ritenuto falso o reticente e non ha motivato
sulla condotta imprudente del lavoratore.
II) Deduce che, alla luce delle dichiarazioni del teste L., il T.S. precipitò
non perché si rialzò dalla posizione in cui si trovava e perse l'appoggio che
doveva garantirgli il parapetto ma perché, lavorando nella parte interna al
bancone, a causa di un malore determinato dalle sue condizioni psico-fisiche,
rovinò all'indietro, andando ad incunearsi tra il corrente superiore costituito
da un tubo di acciaio e la tavola fermapiede lungo il pavimento sfondando il
corrente intermedio. Il T.S. aveva assunto notevole alcol durante la giornata
oltre ad un antidolorifico, così che ebbe un malore e precipitò di spalle, al di
sotto del corrente superiore, avendo perso i sensi .
III) La Corte di merito ha errato nel non riconoscere il giudizio di prevalenza
tra la contestata aggravante e le riconosciute attenuanti, stante
l'incensuratezza e il buon comportamento processuale.
Diritto
1. Il ricorso è manifestamente infondato e perciò inammissibile per le ragioni
di seguito indicate. Mette conto innanzi tutto evidenziare che l'A.C. ha
sostanzialmente riproposto, nel primo e secondo motivo, le tesi difensive già
sostenute in sede di merito e disattese dal Tribunale prima e dalla Corte
d'appello poi. Al riguardo giova ricordare che nella giurisprudenza di questa
Corte è stato enunciato, e più volte ribadito, il condivisibile principio di
diritto secondo cui "è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi
che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice
del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di
specificità del motivo, invero, dev'essere apprezzata non solo per la sua
genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra
le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice
censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art.
591, comma 1, lett. c), all'inammissibilità" (in termini, Sez. 4, n. 5191 del
29/03/2000 Ud. - dep. 03/05/2000 - Rv. 216473; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005,
dep. 25/03/2005, Rv. 231708). E va altresì evidenziato che il primo giudice
aveva già compiutamente affrontato e risolto le questioni sollevate dalla
difesa, seguendo un percorso motivazionale caratterizzato da completezza
argomentativa e dalla puntualità dei riferimenti agli elementi probatori
acquisiti e rilevanti ai fini dell'esame della posizione del ricorrente; di tal
che, trattandosi di conferma della sentenza di primo grado, i giudici di seconda
istanza, a fondamento del convincimento espresso, legittimamente hanno
richiamato anche la motivazione addotta dal Tribunale, senza peraltro mancare di
ricordare i passaggi più significativi dell'iter argomentativo seguito dal primo
giudice e di fornire autonome valutazioni a fronte delle deduzioni
dell'appellante: è principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui, nel
caso di doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di
appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico
ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare
della congruità della motivazione ("ex plurimis", Sez. 3, n. 4700 del 14/02/1994
Ud. - dep. 23/04/1994 - Rv. 197497).
1.1. Nella concreta fattispecie la decisione impugnata si presenta dunque
formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali
forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e
valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai
quesiti concernenti l'infortunio oggetto del processo. La Corte distrettuale,
infatti, dopo aver analizzato tutti gli aspetti della vicenda (dinamica
dell'infortunio, posizione di garanzia dell'A.C., nesso di causalità tra la
condotta contestata e l'evento, comportamento della parte lesa) ha spiegato le
ragioni per le quali ha ritenuto sussistente la penale responsabilità
dell'odierno ricorrente; ha puntualmente ragguagliato il giudizio di fondatezza
dell'accusa al compendio probatorio acquisito, a fronte del quale non possono
trovare spazio le deduzioni difensive, per lo più finalizzate a sollecitare una
lettura del materiale probatorio diversa e volte ad accreditare un' alternativa
generica ricostruzione dei fatti, mediante prospettazioni che risultano
formulate in difetto di correlazione con i contenuti della decisione impugnata e
si risolvono in mere critiche discorsive a quest'ultima.
1.2.Va ribadito che il compito del datore di lavoro è molteplice e articolato, e
va dalla istruzione dei lavoratori sui rischi di determinati lavori - e dalla
conseguente necessità di adottare certe misure di sicurezza - alla
predisposizione di queste misure (con obbligo, quindi, ove le stesse consistano
in particolari cose o strumenti, di mettere queste cose, questi strumenti, a
portata di mano del lavoratore), e, soprattutto, al controllo continuo,
pressante, per imporre che i lavoratori rispettino quelle norme, si adeguino
alla misure in esse previste e sfuggano alla superficiale tentazione di
trascurarle. Il datore di lavoro deve avere la cultura e la forma mentis del
garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del
lavoratore, e non deve perciò limitarsi ad informare i lavoratori sulle norme
antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla
pedanteria, che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria
prassi di lavoro.
Sul punto ebbero modo di intervenire anche le Sezioni Unite di questa Corte
(Sez. Un, n. 6168 dei 21/05/1988 Ud. - dep. 21/04/1989 - Rv. 181121) enunciando
il principio secondo cui al fine di escludere la responsabilità per reati
colposi dei soggetti obbligati ex art. 4 del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 a
garantire la sicurezza dello svolgimento del lavoro, non è sufficiente che tali
soggetti impartiscano le direttive da seguire a tale scopo, ma è necessario che
ne controllino con prudente e continua diligenza la puntuale osservanza.
Ed ancora, va altresì sottolineato - e trattasi di considerazione decisiva e
tranciante - che è stato ovviamente l'A.C., quale datore di lavoro, a mettere a
disposizione del lavoratore quel parapetto del tutto inadeguato: a tale ultimo
riguardo, si evidenzia che i giudici di merito, sulla scorta delle acquisizioni
probatorie (fotografie ed accertamenti dei verbalizzanti "in loco"), hanno
precisato che il balcone era privo di ringhiere e che l'unica protezione era
costituita da assi tubolari e parti di legno tenute insieme da fil di ferro,
senza l'uso nemmeno di altri presidi di sicurezza, come ad esempio cinture ( fol
3/7/ 8 sentenza di primo grado); la mancanza di una idonea protezione contro il
pericolo di cadute dall'alto, che era già era stata oggetto di specifica
contravvenzione un mese prima dell'infortunio, da parte dell'Ispettorato del
Lavoro, ha reso possibile il verificarsi dell'incidente e ciò è sufficiente ad
integrare il nesso di causalità. E' assolutamente pacifica la giurisprudenza di
questa Corte secondo cui la eventuale imprudenza del lavoratore non elide il
nesso di causalità allorché l'incidente si verifichi a causa del lavoro svolto e
per l'inadeguatezza delle misure di prevenzione; la prospettazione di una causa
di esenzione da colpa che si richiami alla condotta imprudente del lavoratore,
peraltro solo ipotizzata e non provata, ( il verbale delle dichiarazioni del
teste L. in relazione alla sua incoerenza, genericità e contrasto con quanto
dichiarato nell'immediatezza dei fatti è stato trasmesso alla Procura della
Repubblica, cfr. sul punto le argomentate motivazioni del giudice di primo grado
da fol 3 a fol 7), non rileva allorché chi la invoca versa in re illicita, per
non avere negligentemente impedito l'evento lesivo. Tanto meno la causa esimente
è invocabile, se la si pone, come nel caso di specie, alla base del proprio
errore di valutazione, assumendo che il sinistro si è verificato non perché si
sia tenuto un comportamento antigiuridico, ma sol perché vi sarebbe stata, da
parte del lavoratore infortunatosi, una condotta anomala ed inopinata: chi è
responsabile della sicurezza del lavoro deve avere sensibilità tale da rendersi
interprete, in via di prevedibilità, del comportamento altrui. È da osservare,
peraltro, che la normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l'incolumità
del lavoratore non solo dai rischi derivanti da incidenti o fatalità, ma anche
da quelli che possono scaturire dalla sue stesse disattenzioni, imprudenze o
disubbidienze alle istruzioni o prassi raccomandate, purché connesse allo
svolgimento dell'attività lavorativa. È pur vero che destinatari delle norme di
prevenzione contro gli infortuni sul lavoro sono non solo i datori di lavoro, i
dirigenti e i preposti, ma anche gli stessi operai; tuttavia, l'inosservanza di
dette norme da parte dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti ha
valore assorbente rispetto al comportamento dell'operaio, la cui condotta può
assumere rilevanza ai fini penalistici solo dopo che da parte dei soggetti
obbligati siano adempiute le prescrizioni di loro competenza.
1.3.In conclusione, nella concreta fattispecie, rilievo assoluto e tranciarne,
ai fini della sussistenza della penale responsabilità dell'A.C., assume la
circostanza che fu proprio quest'ultimo, quale datore di lavoro, a mettere a
disposizione del lavoratore quel parapetto assolutamente inadeguato, sotto il
profilo delle misure di protezione, per l'attività lavorativa da svolgere,
ignorando non solo le prescrizioni degli Ispettori del Lavoro che, già in data
19.10.2007, avevano rilevato nel cantiere una grave carenza di dispositivi di
sicurezza, ma anche quelle incluse nel pos ( fol. 3 sentenza impugnata),
relative ad andatoie e passerelle, predisponendo sul balcone, ove la vittima
stava realizzando la pavimentazione, una protezione, definita dalla Corte
territoriale, "risibile", costituita da un'asse di legno assicurata con del fil
di ferro a dei montanti in ferro che, sottoposta alla mera pressione del corpo
umano, ha ceduto, come risulta documentato dai rilievi fotografici, con esito
letale per il lavoratore che precipitava da un'altezza superiore a 2 metri.
2. Parimenti prive di fondamento sono le ulteriori doglianze concernenti il
trattamento sanzionatorio. Le ragioni addotte dalla Corte territoriale a
sostegno del diniego delle attenuanti generiche, sopra ricordate, appaiono
adeguate e congrue, e si pongono del tutto in sintonia con i principi enunciati
in materia dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui "ai fini
dell'assolvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego della
concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in
considerazione tutti gli elementi
prospettati dall'imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi
l'uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l'indicazione delle
ragioni ostative alla concessione e
delle circostanze ritenute di preponderante rilievo" (in tal senso, tra le
tante, Sez. 1, N. 3772/94, RV. 196880). La Corte territoriale sul punto ha
infatti congruamente motivato il diniego del giudizio di prevalenza in relazione
alle modalità esecutive dell'addebito, ai precedenti penali specifici ( che
riguardano anche violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni e
reiterate evasioni di contributi sociali commessi tra il 2006 e il 2008), non
ravvisando alcun profilo di meritorietà processuale, peraltro solo genericamente
addotto dall'imputato ( fol. 4 sentenza impugnata). Pertanto, la pretesa
illogicità ricondotta alla mancata decisione di prevalenza delle attenuanti
generiche appare priva di qualsiasi consistenza.
3. Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 a favore della
Cassa delle Ammende. Condanna altresì il ricorrente alla rifusione delle spese
di giudizio alle costituite parti civili,liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle
ammende. Condanna altresì il ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio
alle costituite parti civili liquidate in euro quattromila oltre accessori di
legge.
Così deciso il 12.11.2019
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