Penale Sent. Sez. 4 Num. 46217 Anno 2019 Presidente: MENICHETTI CARLA Relatore: FERRANTI DONATELLA
Penale Sent. Sez. 4 Num. 46217 Anno 2019 Presidente: MENICHETTI CARLA
Relatore: FERRANTI DONATELLA Data Udienza: 05/11/2019
Fatto
1. La Corte di Appello di Lecce, con la sentenza indicata in epigrafe,
confermava la sentenza di condanna del Tribunale di Taranto, resa in data
17.10.2015, nei confronti di F.G., in relazione al reato di omicidio colposo
indicato in rubrica; lo condannava alla pena di anni due e mesi tre di
reclusione (pena sospesa e non menzione), oltre al risarcimento dei danni patiti
dalle parti civili, da liquidarsi in separato giudizio, assegnando però una
provvisionale, provvisoriamente esecutiva, di euro 40.000,00.
1.1. La contestazione riguardava l'aver omesso nella qualità di datore di
lavoro, per colpa da imprudenza negligenza e imperizia e violazione delle norme
relative alla sicurezza sui luoghi di lavoro, in violazione degli artt. 15, 17
28 e 117 D.lvo 81/2008 di valutare, in un apposito documento, i rischi e di
posizionare ostacoli rigidi che impedissero il ravvicinamento delle parti
elettriche attive, violando il divieto di esecuzione di lavori elettrici in
vicinanza di linee elettriche con parti attive a distanza inferiore a quelle di
cui ai limiti della tabella 1 dell'all. IX, non sufficientemente protette da
ostacoli rigidi e cautele idonee ovvero disattivate, nonché per aver omesso
un'adeguata formazione e informazione dei lavoratori circa i rischi connessi.
1.2. La Corte di merito confermava la ricostruzione della dinamica dei fatti e
l'affermazione di responsabilità penale argomentata dal primo giudice. In
particolare risultava accertato che la mattina del 19 luglio 2008, appena
iniziato il turno di lavoro S.A., dipendente della F.G. srl, amministrata
dall'imputato, riportava un grave infortunio cui seguiva la morte per arresto
circolatorio da folgorazione mentre si trovava ad operare nell'area aziendale
della Turinvest s.r.l. di Massafra e in specie, munito di asta telescopica
metallica con rullo, svolgeva lavori di pitturazione della parte alta della
facciata del capannone industriale e, dopo essere salito sul cestello
semimovente montato su un autocarro, mezzo presente nell'area da giorni e già
utilizzato dagli operai della F.G., si avvicinava alla facciata da tinteggiare
prossima alla linea elettrica, posta a ridosso della parete del fabbricato;
durante i lavori avveniva un contatto tra detta linea elettrica e l'asta
manovrata dallo S.A. il quale veniva percorso da una violentissima scarica
elettrica da 20 KW, che lo folgorava attraversandolo dalla mano destra sino al
piede destro. Era risultato accertato che nessuna cautela era stata adottata per
scongiurare il rischio che i lavoratori intenti alla tinteggiatura del capannone
potessero venire a contatto diretto o indiretto con essa, non era stata
concordata con l'Enel la disattivazione temporanea, non era stata disposta la
schermatura con ostacoli rigidi nè con materiali privi di conducibilità
elettrica della linea né erano state impartite ai lavoratori adeguate
informazioni in ordine ai rischi.
derivanti dall'avvicinamento oltre i limiti, prescritti dalla normativa
antinfortunistica, alla linea elettrica. Il F.G. aveva prescelto e dotato il
cantiere di attrezzature inidonee a garantire la sicurezza, in particolare di
una impalcatura realizzata in materiale con conducibilità che poteva esser
utilizzata in aderenza alla parete su cui andavano ad operare i lavoratori e che
pertanto avrebbe comportato un pericolosissimo avvicinamento degli operai e
degli strumenti in dotazione alla linea elettrica; vi era inoltre una
piattaforma auto sollevante, montata su un autocarro, lasciata nella
disponibilità dei dipendenti che comportava il rischio di avvicinamento alla
linea elettrica oltre i limiti di sicurezza, il Collegio escludeva, che la
condotta del lavoratore potesse essere qualificata come abnorme.
2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il F.G., a
mezzo del difensore.
I) Con il primo motivo l'esponente denuncia la violazione di legge.
Osserva che dalle dichiarazioni spontanee acquisite al dibattimento risultava
che aveva dato precise indicazioni di procedere alla pitturazione della sola
parte bassa del capannone; tale programma lavorativo se rispettato non avrebbe
comportato alcun rischio operativo in quanto i lavoratori sarebbero stati a
debita distanza dalle linee elettriche; a ciò serviva la dotazione di rulli
dotati di asta telescopica. S.A. era operaio sufficientemente esperto e svolgeva
la mansione di preposto di fatto quindi poteva eseguire il lavoro e doveva allo
stesso tempo sorvegliare l'operato dell'altro operaio, garantendo il corretto
svolgimento dell'attività lavorativa.
II) Con il secondo motivo deduce violazione dell'alt. 62 bis cod.pen. in
relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
Il F.G. ha precedenti penali modesti e datati nel tempo e la Corte d'Appello ha
immotivatamente non concesso le attenuanti prevalenti alle aggravanti con
conseguente mancato adeguamento delle pena base e concessione della sospensione
condizionale.
Diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
Giova ricordare che questa Suprema Corte ha chiarito che il vizio logico della
motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della
decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite
nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle
risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità "deve
essere limitato soltanto a riscontrare l?esistenza di un logico apparato
argomentativo, senza spingersi a verificare l?adeguatezza delle argomentazioni,
utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la
loro rispondenza alle acquisizioni
processuali" (tra le altre Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep. 10.01.1996, Rv.
203272).
Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato
altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali hanno precisato che esula
dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di
fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via
esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di
legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più
adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, Sentenza n. 6402 del
30/04/1997, dep. 02/07/1997, Rv. 207945). E la Corte regolatrice ha rilevato che
anche dopo la modifica dell'art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della
legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la
Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto
preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5,
Sentenza n. 17905 del 23.03.2006, Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità,
non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una
diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis
Sez. 1, Sentenza n. 1769 del 23/03/1995, Rv. 201177; Sez. 6, Sentenza n. 22445
in data 8.05.2009, Rv. 244181).
Deve poi considerarsi che la Corte regolatrice ha da tempo chiarito che non è
consentito alle parti dedurre censure che riguardano la selezione delle prove
effettuata da parte del giudice di merito. A tale approdo, si perviene
considerando che, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di
cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente
la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la
giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia
compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di
apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Sez. 5,
Sentenza n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Rv. 215745; Sez. 2, Sentenza n. 2436
del 21/12/1993, dep. 1994, Rv. 196955). Come già sopra si è considerato, secondo
la comune interpretazione giurisprudenziale, l'art. 606 cod. proc. pen. non
consente alla Corte di Cassazione una diversa "lettura" dei dati processuali o
una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di
legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati
processuali. E questa interpretazione non risulta superata in ragione delle
modifiche apportate all'art. 606, comma primo lett. e) cod. proc. pen. ad opera
della Legge n. 46 del 2006; ciò in quanto la selezione delle prove resta
attribuita in via esclusiva al giudice del merito e permane il divieto di
accesso agli atti istruttori, quale conseguenza dei limiti posti all'ambito di
cognizione della Corte di Cassazione. Ebbene, si deve in questa sede ribadire
l'insegnamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, per condivise
ragioni, in base al quale si è rilevato che nessuna prova, in realtà, ha un
significato isolato, slegato dal contesto in cui è inserita; che occorre
necessariamente procedere ad una valutazione complessiva di tutto il materiale
probatorio disponibile; che il significato delle prove lo deve stabilire il
giudice del merito e che il giudice di legittimità non può ad esso sostituirsi
sulla base della lettura necessariamente parziale suggeritagli dal ricorso per
cassazione (Sez. 5, Sentenza n. 16959 del 12/04/2006, Rv. 233464).
1.1 Delineato nei superiori termini l'orizzonte del presente scrutinio di
legittimità, si osserva che il ricorrente invoca con il primo motivo
sostanzialmente una riconsiderazione alternativa del compendio probatorio, con
riguardo alla ricostruzione della dinamica del fatto ed alla affermazione di
penale responsabilità. Sul punto, la Corte territoriale ha sviluppato un
percorso motivazionale immune da aporie di ordine logico e saldamente ancorato
all'acquisito compendio probatorio, evidenziando inoltre che l'assoluta mancanza
di sistemi di sicurezza (fol da 9 a 14 sentenza di primo grado e fol 3 e 4
sentenza impugnata), contribuì quale concausa determinante al verificarsi
dell'evento.
Muovendo da tali rilievi, la Corte territoriale ha quindi escluso il carattere
abnorme della condotta posta in essere dal lavoratore. Segnatamente, si è
chiarito che, nel campo della sicurezza del lavoro, gli obblighi di vigilanza
che gravano sul datore di lavoro risultano funzionali anche rispetto alla
possibilità che il lavoratore si dimostri imprudente o negligente verso la
propria incolumità; che può escludersi l?esistenza del rapporto di causalità
unicamente nei casi in cui sia provata l?abnormità del comportamento del
lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato
causa all?evento; che, nella materia che occupa, deve considerarsi abnorme il
comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori
di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte
all?applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; e
che l?eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna
efficacia esimente per i soggetti aventi l?obbligo di sicurezza che si siano
comunque resi responsabili - come avvenuto nel caso di specie - della violazione
di prescrizioni in materia antinfortunistica (cfr. Sez. 4, sentenza n. 3580 del
14.12.1999, dep. 2000, Rv. 215686). E la Suprema Corte ha chiarito che non può
affermarsi che abbia queste caratteristiche il comportamento del lavoratore che
abbia compiuto un'operazione rientrante pienamente, oltre che nelle sue
attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (Sez. 4, Sentenza n. 10121
del 23.01.2007, Rv. 236109). Tanto più che nel caso di specie la Corte
territoriale ha evidenziato che lo S.A. era un operaio addetto alle lavorazioni
che erano in corso di realizzazione; che non vi è alcun prova che le direttive
date fossero quelle di procedere solo alla pitturazione bassa del capannone né
che fosse un preposto di fatto. Anzi dalle risultanze istruttorie e dai rilievi
fotografici risulta che i lavori di tinteggiatura delle altre facciate erano
terminate e la residua porzione da pitturare era proprio la fascia sovrastante
la finestratura orizzontale della facciata prospettica del capannone verso la
Via Appia, adiacente la linea elettrica, e che, quella mattina, L. e S.A. si
erano recati sul posto di lavoro per continuare i lavori eseguiti e già iniziati
nei giorni precedenti ( fol 14 sentenza di primo grado ), utilizzando una
piattaforma posizionata a distanza ravvicinatissima dalla linea elettrica, tanto
da consentire il contatto diretto tra il corpo e i cavi, senza protezioni
particolari ma avendo a disposizione un'asta metallica con rullo che, al
contatto con il cavo elettrico, era rimasta danneggiata presentando tracce
evidenti di fusione del metallo ( fol 4 sentenza di primo grado, teste
Ispettorato del lavoro di Taranto).
La decisione gravata, confermativa di quella di primo grado, appare corretta
siccome adottata in piena aderenza a quello che, per assunto pacifico, è il
contenuto precettivo dell'art. 2087 c.c.. Come è noto, in forza della
disposizione generale di cui all'art. 2087 c.c. e di quelle specifiche previste
dalla normativa antinfortunistica, il datore di lavoro è costituito garante
dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei
prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli
obblighi di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza
del meccanismo reattivo previsto dall'art. 40 c.p., comma 2. Ne consegue che il
datore di lavoro, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi
antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera
in condizioni di sicurezza, vigilando altresì a che le condizioni di sicurezza
siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l'opera. In altri termini,
il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le
attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l'adozione da parte dei
dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo
i rischi connessi all'attività lavorativa: tale obbligo dovendolo ricondurre,
oltre che alle disposizioni specifiche, proprio, più generalmente, al disposto
dell'art. 2087 c.c.. In forza del quale il datore di lavoro è comunque
costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità
morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non
ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene
imputato in forza del meccanismo previsto art 40 comma 2 cod.pen.. È in questo
quadro normativo che si pone correttamente la sentenza impugnata, laddove
ravvisa la colpa, e il conseguente nesso eziologico con l'evento dannoso, del
datore di lavoro nel non aver questi previsto una valutazione concreta dei
rischi correlati.
1.2 E' manifestamente infondato anche il secondo motivo del ricorso. I Giudici
di merito ( fol 6) non hanno concesso le attenuanti generiche sul rilievo che si
dovesse tenere conto della specifica condotta posta in essere dalla ricorrente,
delle circostanze del caso concreto, dell'intensità della colpa e dei precedenti
penali. Del resto, nella determinazione della pena, il Tribunale ha
coerentemente irrogato una sanzione di poco superiore al minimo edittale. Va
ricordato che le attenuanti generiche, vale a dire circostanze che non sono
previste dalla legge e che spetta al giudice di individuare, rendendo la
condanna il più possibile adeguata alle specificità della vicenda concreta,
furono introdotte con il D.Lgt. 14 settembre 1944, n. 288 per alleggerire il
rigore sanzionatorio del codice Rocco, ritenuto molto severo nella previsione
legale dei minimo e dei massimi edittali, senza dover necessariamente incidere
sulla modifica dei limiti edittali stessi previsti per le singole fattispecie di
reato e, come questa Corte ha già affermato, furono altresì introdotte anche per
mitigare la rigidità dell'originario sistema di calcolo della pena nell'ipotesi
di concorso di circostanze di specie diversa, e tale funzione, ridotta a seguito
della modifica del giudizio di comparazione delle circostanze concorrenti, ha
modo di esplicarsi efficacemente solo per rimuovere il limite posto al giudice
con la fissazione del minimo edittale, allorché questi intenda determinare la
pena al di sotto di tale limite; pertanto ove questa situazione non ricorra,
perché il giudice valuta la pena da applicare al di sopra del limite, il diniego
della prevalenza delle generiche diviene solo un elemento di calcolo e non
costituisce mezzo di determinazione della sanzione, e non può, quindi, dar luogo
ne' a violazione di legge, ne' al corrispondente difetto di motivazione (Sez. 3,
n. 369 del 25/01/2000, Rv. 216572; Sez. 3,. 44883 del 18/07/2014, Rv. 260627 -
01).
Questa Corte ha anche affermato che la concessione o meno delle attenuanti
generiche si traduce in sostanza in un giudizio di fatto lasciato alla
discrezionalità del giudice, sottratto al controllo di legittimità, e può ben
essere motivato implicitamente attraverso l'esame esplicito di tutti i criteri
di cui all'art. 133 cod. pen. (Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, Rv. 227142). Nel
caso di specie la motivazione del diniego delle "generiche" è stata invero
esplicita e neppure specificamente censurata in ordine a tutti i profili
ritenuti ostativi alla sua concessione ma esclusivamente con riferimento alla
modestia dei precedenti penali, senza però considerare che la doglianza va a
sconfinare in censure fattuali inammissibili anche per la assoluta genericità e
aspecificità.
2. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il
ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro
duemila a favore della Cassa delle Ammende oltre alla rifusione delle spese in
favore delle parti civili liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle
Ammende oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili C.A. e
S.A. che liquida in complessivi euro tremila oltre accessori come per legge.
Così deciso il 5.11.2019
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