Penale Sent. Sez. 4 Num. 46214 Anno 2019 Presidente: MENICHETTI CARLA Relatore: FERRANTI DONATELLA
Penale Sent. Sez. 4 Num. 46214 Anno 2019 Presidente: MENICHETTI CARLA
Relatore: FERRANTI DONATELLA Data Udienza: 05/11/2019
Fatto
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Roma, in riforma della
sentenza del Tribunale di Roma del 15.03.2017, ha ridotto la pena della
reclusione applicata a R.P.P. a mesi tre, ritenendo comunque la sua
responsabilità penale in ordine al reato di cui all'art. 590 comma 1 e 3 cod.
pen. per aver, per colpa, quale preposto, nell'autorimessa di Via Flaminia 1060
Atac, omesso di sovraintendere e vigilare affinchè il lavoratore S.M.,
posizionasse i martinetti idraulici al di sotto del pezzo (il cambio di un
autobus Iveco 491) da smontare, indossando un elmetto di protezione,
accorgimenti che avrebbero impedito o ridotto le conseguenze dell'Infortunio
occorso al lavoratore, colpito dalla caduta del cambio, mentre effettuava le
operazioni di smontaggio, a seguito della quale riportava lesioni gravissime
consistite in trauma cranico, emorragia estradurale destra, pericolo di vita e
complicanze con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni, per un
periodo superiore a 40 giorni, nonché una malattia classificata come disturbo
post traumatico da stress permanente.
1.2 L'infortunio, secondo la ricostruzione della Corte territoriale, che riporta
puntualmente le risultanze dibattimentali del giudizio di primo grado, avveniva
con le seguenti modalità: il 18.01.2011, nella rimessa della società ATAC, sita
in Roma Via Flaminia 1060, i dipendenti S.M. e M.R., operai meccanici erano
intenti alla sostituzione del cambio di un autobus Iveco 491, pesante cinque
quintali. Dopo aver posizionato il mezzo sui ponti sollevatori il S.M., secondo
una prassi invalsa nell'officina, aveva cominciato a svitare i bulloni del
cambio, mentre l'altro avvicinava uno degli appositi martinetti idraulici su cui
si sarebbe dovuto appoggiare il pezzo da smontare; mentre completava la fase di
svitamento, il cambio cadde e, non essendoci stato il previo sicuro
posizionamento del sostegno di sicurezza, colpì il lavoratore medesimo,
procurandogli le lesioni sopra descritte .
E' risultato accertato che il piano di valutazione dei rischi dell'Atac
prevedeva che nell'esecuzione delle operazioni di smontaggio doveva essere
sistemata una piazzatura o culla al di sotto del pezzo da smontare in modo che
il pesante blocco meccanico, una volta liberato dai bulloni di ancoraggio, si
sarebbe adagiato su questo idoneo sostegno anziché precipitare a terra, con il
rischio di colpire il lavoratore.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo
del difensore, deducendo i motivi di seguito riportati.
I) Violazione di legge in quanto la sentenza impugnata si limita a fornire una
motivazione per relationem, senza valutare le specifiche doglianze del gravame.
E' emerso infatti contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Appello che il
R.P.P., preposto, era presente sul luogo di lavoro ma era impegnato in altri
adempimenti e quindi non ebbe modo di verificare l'infortunio;
II) violazione di legge per inosservanza dell' art. 40 e 41 cod.pen., in quanto
è risultato che il S.M. ha proseguito le operazioni di smontaggio nonostante
fosse stato redarguito dal collega M.R.. In ogni caso il Giudice di merito non
ha effettuato il giudizio controfattuale e cioè non ha valutato se, osservata la
regola cautelare e quindi posta in essere la sorveglianza, l'infortunio si
sarebbe verificato o meno.
III) applicazione della causa estintiva della prescrizione prevista dall'art.
129 cod.proc.pen.
3. In data 30.10.2019 la difesa della costituita parte civile Mauro S.M. ha
depositato memoria chiedendo dichiararsi la inammissibilità del ricorso
dell'imputato.
Diritto
1. Va premesso che è pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa
Suprema Corte che deve essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione
fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute
infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non
specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e
ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche
per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione
impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima
non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio
di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 comma I, lett. c) cod. proc.
pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del
15.7.2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15.2.2013,
Sammarco, rv. 255568; Sez.4, n. 18826 del 9.2.2012, Pezzo, rv. 253849; Sez. 2,
n. 19951 del 15.5.2008, Lo Piccolo, rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3.7.2007,
Scicchitano, rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30.9.2004, Burzotta, rv. 230634;
Sez.4, n. 15497 del 22.2.2002, Palma, rv. 221693). Ancora di recente, questa
Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per
cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l?appello e motivatamente
respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito
adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che,
così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico
determinato (Sez. 3, n.44882 del 18.7.2014, Carialo e altri, rv. 260608).
2. Il ricorso del R.P.P. è pertanto inammissibile.
2.1 Il primo motivo è manifestamente infondato.
Le Sez Un. 21-6-2000, Primavera, hanno stabilito che la motivazione per
relationem di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima allorché:
1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del
procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di
giustificazione propria del provvedimento ad quem; 2) fornisca la dimostrazione
che il giudice ha preso cognizione delle ragioni del provvedimento di
riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3)
l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento,
sia conosciuto o comunque ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda
attuale l'esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed eventualmente di
gravame.
Nel caso di specie, la Corte d'appello, lungi dall'effettuare una acritica
trascrizione, totale o parziale, del testo della motivazione della sentenza di
primo grado, o un mero rinvio, dopo aver valutato la sentenza impugnata immune
da vizi logici e saldamente ancorata ai risultati probatori acquisiti durante
l'esaustiva istruttoria dibattimentale, ha riportato le risultanze considerate
essenziali dalla Corte territoriale, ai fini del proprio convincimento,
sottolineandone la significazione dimostrativa, sottoponendole ad un penetrante
vaglio ed evidenziando come il R.P.P., preposto, era personalmente presente in
officina mentre l'operaio S.M. poneva in essere l'operazione di smontaggio del
cambio e nulla ha fatto per vigilare sul puntuale rispetto delle disposizioni
infortunistiche e per impedire l'esecuzione della pericolosa manovra, realizzata
in assenza del propedeutico posizionamento dell'apposito mezzo di sostegno sotto
al cambio meccanico in fase di smontaggio ( fol 5). La Corte d'appello ha dunque
dimostrato di avere criticamente esaminato e valutato i contenuti della
motivazione della sentenza di primo grado, facendoli propri, all'esito di una
accurata analisi, conformemente all'orientamento espresso dalle Sezioni unite,
nella sentenza delle G.U. appena citata.
Del resto, è nota in giurisprudenza la possibilità di procedere all'integrazione
delle sentenze di primo e di secondo grado, così da farle confluire in un corpus
unico, cui il giudice di legittimità deve fare riferimento (Cass., Sez. 6, n.
26996 del 8-5-2003), a condizione che le due pronunce abbiano adottato criteri
omogenei e un apparato logico-argomentativo uniforme (Cass., Sez. 3, n. 10163
del 1-2-2002, Lombardozzi).
2.2 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto il vizio di
legittimità è solo apparente; in maniera generica e inconferente si contesta,
infatti, il valore probatorio degli elementi utilizzati dalla Corte di appello
per pervenire al convincimento di responsabilità e non si tiene conto degli
argomenti e delle indicazioni probatorie puntuali acquisite e risultanti dai due
gradi di merito.
I giudici di merito (fol. 1 e 2 sentenza di primo grado e fol 5 sentenza
impugnata) hanno accertato, che il R.P.P., nella qualità di preposto, non si
attenuto alle regole di prudenza e di sicurezza previste dal piano di
valutazione dei rischi; anzi aveva consentito l'attuazione di una prassi
"condivisa" di sistemare la piazzatura solo in un successivo momento, allo scopo
di rendere più agevole la lavorazione iniziale nella fase di smontaggio; sul
punto risulta che lo stesso R.P.P. in sede di esame ha affermato che i due
meccanici avevano iniziato la lavorazione e che il martinetto idraulico previsto
non era nei pressi della loro postazione ( fol 1 e 2 sentenza di primo grado);
né sono deducibili nella sede di legittimità considerazioni di mero fatto in
relazione alle modalità dell'incidente ed in particolare ai comportamenti posti
in essere dalla persona offesa, situazioni di fatto peraltro smentite dalle
puntuali ricostruzioni probatorie dibattimentali.
2.3 Va ricordato peraltro che la interruzione del nesso di condizionamento, a
causa del comportamento imprudente del lavoratore, da solo sufficiente a
determinare l?evento, secondo i principi giuridici enucleati dalla dottrina e
dalla giurisprudenza (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri,
Rv.261106, in motivazione; Sez. 4, n. 33329 del 05/05/2015, Rv.264365; Sez. 4,
n. 49821 del 23/11/2012, Rv. 25409) richiede che la condotta si collochi in
qualche guisa al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in
corso. Tale comportamento è «interruttivo» non perché «eccezionale» ma perché
eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare
(Sez.4 n. 15124 del 13.12.2016, Rv. 269603).
La giurisprudenza di legittimità è ferma nel sostenere che non possa discutersi
di responsabilità (o anche solo di corresponsabilità) del lavoratore per
l'infortunio quando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro
presenti delle criticità (Sez.4, n.22044 del 2.05.2012,n.m;Sez.4, n.16888,del
7/02/2012,Rv.252373). Le disposizioni antinfortunistiche perseguono, infatti, il
fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa,
onde l'area di rischio da gestire include il rispetto della normativa
prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro dominare
ed evitare l'instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di
sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e per tale ragione foriere di
pericoli (Sez.4, n.4114 del 13/01/2011, n.m.; Sez.F, n. 32357 del 12/08/2010,
Rv. 2479962).
La Corte territoriale ha fatto corretta e coerente applicazione dei principi
giuridici sopra esposti; ha evidenziato che la condotta del S.M. non era stata
pertanto né imprevedibile nè esorbitante e non poteva perciò fornire alcuna
giustificazione al capo reparto dell'officina, titolare di un'autonoma posizione
di garanzia, che aveva omesso di svolgere i compiti connessi all'adeguata
osservanza delle misure di sicurezza, di vigilanza e formazione oltre che di
verifica puntuale del rispetto delle norme di prevenzioni degli infortuni e in
particolare del DVR impedendo e avallando prassi che si discostavano dalle
procedure di sicurezza (fol.5 sentenza impugnata e fol 2 sentenza di primo grado
).
2.4 Quanto al terzo motivo va ribadito che l'inammissibilità del ricorso per
cassazione preclude la possibilità di rilevare d'ufficio, ai sensi degli artt.
129 e 609 comma secondo, cod. proc. pen., l'estinzione del reato per
prescrizione maturata in data successiva alla pronuncia della sentenza di
appello, in quanto l'art. 129 cod. proc. pen. non riveste una valenza
prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilità, attribuendo al
giudice dell'impugnazione un autonomo spazio decisorio svincolato dalle forme e
dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma enuncia una
regola di giudizio che deve essere adattata alla struttura del processo e che
presuppone la proposizione di una valida impugnazione.
3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna dei
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000,00 a
favore della Cassa delle ammende oltre alla rifusione in solido delle spese in
favore della parte civile liquidate come indicato nel dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2000,00 in favore della Cassa delle
Ammende oltre alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile S.M. che
liquida in euro duemilacinquecento oltre accessori come per legge.
Cosi deciso il 5.11. 2019
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