Penale Sent. Sez. 4 Num. 3451 Anno 2019 Presidente: DI SALVO EMANUELE Relatore: NARDIN MAURA
Penale Sent. Sez. 4 Num. 3451 Anno 2019 Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: NARDIN MAURA Data Udienza: 20/12/2018
Fatto
1. Con sentenza del la Corte di Appello di Firenze ha confermato la sentenza del
Tribunale di Pisa con cui M.C. , nella sua qualità di datore di lavoro, legale
rappresentante della Newport. S.r.l., è stato ritenuto responsabile del reato di
cui all'art. 590, comma 1A e 3A cod. pen. per avere colposamente cagionato
lesioni personali gravi a S.O. che cadeva nel vuoto, durante le operazioni di
posa di tavoloni, per raggiungere una tettoia su cui doveva effettuare una
riparazione, perché con imprudenza, negligenza ed imperizia ed in violazione
delle norme di prevenzione e sicurezza dei luoghi di lavoro ed in particolare
dell'art. 148 d.lgs. 81/2008, non provvedeva ad adottare un dispositivo
anticaduta.
2. Il fatto come descritto dalla sentenza, per quanto non qui contestato, può
essere riassunto come segue: S.O., dipendente della Newport s.r.l., operante nel
settore produttivo di lavorazione dei pellami, dovendo riparare una tettoia
divelta dal vento, vi accedeva attraverso un balcone, posto al primo piano,
circondato da una ringhiera. Mentre posizionava due tavoloni su cui camminare
per raggiungere la tettoia, senza utilizzare cintura di sicurezza, che era posta
su un pilastro vicino alla porta di accesso, scavalcava la ringhiera perdendo
l'equilibrio e precipitando da un un'altezza di quattro metri. A seguito della
caduta riportava un trauma commotivo cerebrale ed un trauma toracico con duplice
frattura costale e doppia rottura del bacino.
3. Le due sentenze di merito, cosi conformemente ricostruita la vicenda,
escludendo la condotta abnorme del dipendente, ritenevano la colpevolezza del
datore di lavoro. In particolare, era giudicata ininfluente la circostanza
dell'avere il lavoratore svolto l'attività prima dell'inizio dell'orario di
lavoro, avendo il medesimo la disponibilità delle chiavi dello stabilimento ed
essendo conosciuta dal datore di lavoro l'abitudine del dipendente di recarsi
sul posto quando lo ritenesse utile. Inoltre, nonostante M.C. avesse promesso ad
S.O. di aiutarlo, non avrebbe comunque potuto coadiuvarlo, poiché aveva fissato
un appuntamento alle ore otto con un cliente. Egli, dunque, sapeva che il
lavoratore avrebbe operato da solo. A questi non era stato fornito alcun
dispositivo, non essendo la cintura di sicurezza idonea, secondo la A.S.L., a
proteggere il lavoratore, in quanto proficuamente utilizzabile solo se il datore
di lavoro avesse dato l'ordine di operare dal basso. Infine, l'attività svolta
dal lavoratore non rientrava nelle lavorazioni della conceria e nell'azienda
mancava ogni presidio per lo svolgimento di lavori edili, non rientranti nelle
mansioni dei dipendenti, i quali non avrebbero dovuto attendervi.
4. Il giudice di secondo grado ha escluso l'applicabilità della causa di non
punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen., non ritenendo il fatto di
particolare tenuità per la gravità delle lesioni subite dalla persona offesa ed
il grado di colpa dell'Imputato, che omise ogni cautela al fine di far eseguire
quel lavoro in sicurezza.
5. Avverso la sentenza della Corte di appello propone ricorso per cassazione
M.C., a mezzo del suo difensore, formulando un unico motivo, con cui si duole
della violazione di legge penale con rifermento all'art. 131 bis cod. pen. e del
vizio di motivazione per avere la Corte territoriale ritenuto inapplicabile,
senza adeguate argomentazioni, la causa di non punibilità, nonostante la sua
compatibilità con il caso concreto. Osserva che, non solo il legislatore ha
limitato il campo di operatività della norma facendo riferimento alla pena
edittale massima -non superata nell'ipotesi di specie- ed alla non abitualità
della condotta, anch'essa non sussistente, ma che le Sezioni unite della Suprema
Corte hanno escluso ogni riferimento della norma al principio di offensività
(Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016 - dep. 06/04/2016, Tushaj), dovendo aversi
riguardo alla forma di estrinsecazione del comportamento, al fine di valutarne
la gravità rispetto al contrasto con la legge. Ne conseguirebbe che l'entità
delle lesioni subite, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte, non può
costituire parametro di applicabilità della disposizione invocata. Il giudice
territoriale avrebbe, quantomeno, dovuto tenere conto, nella prospettiva del
riconoscimento dei presupposti della clausola di non punibilità, della colpa
ascrivibile alla persona offesa, che, da un lato, riduce il grado di
antidoverosità della condotta del datore di lavoro, dall'altro, concorre a
mitigare i profili di offensività attribuibili alla sua omissione. Sottolinea
che siffatti elementi sono ancor più rilevanti se si considera che il lavoratore
era persona esperta e nominato responsabile della sicurezza, sicché il suo
comportamento va considerato concretamente imprevedibile per l'imputato.
Diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito i presupposti di
applicabilità della speciale causa di non punibilità per particolare tenuità del
fatto, introdotta con l'art. 1, comma 2 del d. lgs. 28/2015, affermando che "Ai
fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per
particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131 bis cod. pen., il giudizio
sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le
peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell?art. 133,
primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza
da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo. (Sez. U, n. 13681 del
25/02/2016 - dep. 06/04/2016, Tushaj, Rv. 26659001).
3. Gli elementi di valutazione indicati dal Supremo collegio della Corte
regolatrice sono proprio quelli presi in considerazione dalla sentenza impugnata
che si è soffermata, da un lato, sulla gravità delle lesioni subite,
corrispondente al parametro di cui al comma primo dell'art. 133 n. 2) cod. pen.
e, dall'altro, sulla gravità della colpa, di cui al n. 3) del medesimo comma.
4. Ora, il fatto che il ricorrente pretenda una diversa valutazione della colpa,
che tenga conto del comportamento imprudente del lavoratore, non intacca la
congruenza e logicità della motivazione, né la sua conformità al disposto
dell'art. 131 bis cod. pen., come interpretato dalla Sezioni Unite. Ed invero,
al di là del fatto che la sentenza non giudica abnorme il comportamento del
lavoratore, senza escludere un un concorso di colpa del medesimo nella
produzione dell'evento, vi è che la gravità della condotta del datore di lavoro
che non predisponga i minimi presidi di sicurezza, consentendo che un lavoratore
operi da solo nello svolgimento di mansioni che non gli competono, per di più in
quota, non trova alcun limite nella condotta colposa del lavoratore, che abbia
sinergicamente contribuito all'evento. Se la violazione della norma cautelare -
come ritenuto dalla Corte territoriale- si riveli nella ricostruzione non esigua
o marginale, ciò non potrà che incidere nella 'ponderazione quantitativa' circa
la tenuità del fatto, così come contribuiranno la valutazione della gravità del
danno ed il grado della colpevolezza. Secondo uno schema che risulta dalla
stessa lettera della norma. Alla valutazione della condotta, del danno e della
colpevolezza del reo, resta estranea la valutazione della condotta non abnorme
di soggetti diversi ed in particolare della persona offesa, posto che senza la
condotta del primo l'evento non si sarebbe comunque realizzato. Ed è quindi solo
a quella condotta colposa, al danno cagionato ed al grado di colpevolezza del
primo che occorre guardare per valutare la lievità della condotta ai sensi
dell'art. 131 bis cod. pen.
5. Ciò posto, va ritenuto che la Corte territoriale non solo abbia considerato
le lesioni come gravi, ma abbia ampiamente richiamato, nel corpo della sentenza,
la gravità della condotta tenuta e della colpa dell'imputato, così soddisfacendo
gli oneri motivazionali relativi alla reiezione dell'istanza di applicazione
dell'art. 131 bis cod. pen..
6. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro duemila in favore della
cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle
ammende
Cosi deciso il 20/12/2018
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