Penale Sent. Sez. 4 Num. 2590 - Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: DI SALVO EMANUELE
Penale Sent. Sez. 4 Num. 2590 Anno 2019 Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: DI
SALVO EMANUELE Data Udienza: 03/10/2018
Fatto
1. D'A.F. ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con
la quale è stata confermata la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in
ordine al reato di cui all'art. 589 cod.pen. perché, in qualità di coordinatore
per la progettazione e l'esecuzione dei lavori, per colpa consistita in
negligenza, imprudenza, imperizia e in violazione delle normative di prevenzione
degli infortuni sul lavoro, non predisponendo misure di sicurezza idonee a
prevenire la caduta dall'alto, cagionava la morte di C.C., il quale, mentre era
intento alla posa in opera di lastre di marmo sulla parete esterna del vano
scala di un fabbricato in costruzione, senza alcuna impalcatura, ponteggio o
altra cautela, rovinava al suolo da un'altezza di circa 4-5 m.
2. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, poiché né il
funzionario della ASL di Caserta né i Carabinieri, giunti circa tre ore dopo
l'infortunio, sono riusciti ad accertare l'esatta dinamica dei fatti. Secondo
l'ipotesi accusatoria, vi era un cavalletto sul quale lavorava il C.C. ma questo
cavalletto non è mai stato trovato e inoltre si assume che i fatti siano
avvenuti in un luogo diverso da quello in cui la persona offesa stava, in
realtà, lavorando. Né è possibile stabilire con precisione l'attività svolta dal
C.C. la mattina in cui si è verificato l'infortunio, poiché non era possibile
che qualcuno avesse ordinato al C.C. di incollare i marmi, in quanto la consegna
di questi ultimi sarebbe avvenuta a dicembre. Si è trattato, pertanto, di un
comportamento abnorme e imprevedibile da parte della persona offesa, che si è
posto al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dell'imputato.
2.1. Ingiustificatamente è stata negata la prevalenza delle circostanze
attenuanti generiche sulla contestata aggravante e la pena non è stata
quantificata nei minimi edittali, nonostante l'imputato non sia gravato da
precedenti penali e da carichi pendenti e le parti lese siano state ampiamente
risarcite.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.
Diritto
l. Il primo motivo di ricorso esula dal novero delle censure deducibili in sede
di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione
del fatto riservati alla cognizione del giudice di merito, le cui
determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette
da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell'iter
logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. In tema di
sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di
legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta
dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova bensì di
stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro
disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando
esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano
esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni
che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni, a preferenza di
altre (Sez. U., 13-12-1995, Clarke, Rv. 203428).
2. Nel caso di specie, il giudice a quo ha evidenziato che le lesioni riportate
dalla persona offesa sono state giudicate compatibili con una precipitazione di
media altezza e cioè da meno di 10 m: altezza compatibile con quella di una
nicchia che iniziava dal piano di calpestio del secondo piano, ad oltre 3 m da
terra, e che finiva due piani più in alto, ad oltre 6 m, a cui si deve
aggiungere l'altezza raggiunta con i cavalletti sui quali il C.C. stava
verosimilmente lavorando. La caduta del C.C., con conseguente impatto violento
al suolo, ha costituito la causa dell'evento- morte dell'Infortunato.
Sull'imputato, che rivestiva qualità di coordinatore per la progettazione e
l'esecuzione dei lavori, gravavano gli obblighi di prevenzione, assicurazione e
sorveglianza dei lavoratori, di talché la sua condotta omissiva ha costituito
condicio sine qua non dell'evento- morte, non avendo egli predisposto alcuna
opera provvisionale né attrezzature adeguate a prevenire la caduta dall'alto del
C.C.. Dalle cadenze motivazionali della sentenza d'appello è dunque enucleabile
una attenta analisi della regiudicanda, poiché la Corte territoriale ha preso in
esame tutte le deduzioni difensive ed è pervenuta alle proprie conclusioni
attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il
profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non
qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò
insindacabili in questa sede. Trattasi dunque di apparato esplicativo puntuale,
coerente, privo di discrasie concettuali, del tutto idoneo a rendere
intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo
scrutinio di legittimità. Né la Corte suprema può esprimere alcun giudizio
sull'attendibilità delle acquisizioni probatorie, giacché questa prerogativa è
attribuita al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da quest'ultimo
compiute, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle
risultanze agli atti, si sottraggono al sindacato di legittimità ( Sez. U.
25-11-1995 , Facchini , Rv. 203767).
3. Infondato è anche l'asserto secondo cui è da ravvisarsi abnormità del
comportamento del lavoratore. Quest'ultimo può, infatti, essere ritenuto abnorme
allorquando sia consistito in una condotta radicalmente, ontologicamente,
lontana dalle ipotizzabili, e quindi prevedibili, scelte, anche imprudenti, del
lavoratore, nell'esecuzione del lavoro (Cass., Sez. 4, n. 7267 del 10-11-2009,
Rv. 246695). È dunque abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per
la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di
controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione delle misure di
prevenzione contro gli infortuni sul lavoro. Tale non è il comportamento del
lavoratore che abbia compiuto un'operazione comunque rientrante, oltre che nelle
sue attribuzioni, nel segmento di lavoro assegnatogli ( Cass., Sez. 4, n. 23292
del 28-4-2011, Rv. 250710) o che abbia espletato un incombente che, anche se
inutile ed imprudente, non risulti eccentrico rispetto alle mansioni a lui
specificamente assegnate, nell'ambito del ciclo produttivo ( Cass., Sez. 4, n.
7985 del 10-10-2013, Rv. 259313) .
3.1.Nel caso in esame, il giudice a quo ha evidenziato che il lavoratore stava
ponendo in opera le lastre di marmo di rivestimento della nicchia: dunque
un'operazione rientrante appieno nelle sue mansioni. Non può quindi ravvisarsi
abnormità del comportamento del lavoratore. Ciò è del tutto conforme al
consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui
compito del titolare della posizione di garanzia è evitare che si verifichino
eventi lesivi dell'incolumità fisica intrinsecamente connaturati all'esercizio
di talune attività lavorative, anche nell'ipotesi in cui siffatti rischi siano
conseguenti ad eventuali negligenze, imprudenze e disattenzioni dei lavoratori
subordinati, la cui incolumità deve essere protetta con appropriate cautele. Il
garante non può, infatti, invocare, a propria scusa, il principio di
affidamento, assumendo che il comportamento del lavoratore era imprevedibile,
poiché tale principio non opera nelle situazioni in cui sussiste una posizione
di garanzia (Cass., Sez. 4., 22-10-1999, Grande, Rv. 214497). Il garante,
dunque, ove abbia negligentemente omesso di attivarsi per impedire l'evento, non
può invocare, quale causa di esenzione dalla colpa, l'errore sulla legittima
aspettativa in ordine all'assenza di condotte imprudenti, negligenti o imperite
da parte dei lavoratori, poiché il rispetto della normativa antinfortunistica
mira a salvaguardare l'incolumità del lavoratore anche dai rischi derivanti
dalle sue stesse imprudenze e negligenze o dai suoi stessi errori, purché
connessi allo svolgimento dell'attività lavorativa (Cass., Sez. 4, n. 18998 del
27-3-2009, Rv. 244005). Ne deriva che il titolare della posizione di garanzia è
tenuto a valutare i rischi e a prevenirli e la sua condotta non è scriminata, in
difetto della necessaria diligenza, prudenza e perizia, da eventuali
responsabilità dei lavoratori (Cass., Sez. 4, n. 22622 del 29-4-2008, Rv.
240161). Da ciò consegue che non può essere ravvisata, nel caso di specie,
interruzione del nesso causale. L'operatività dell'art. 41, comma 2, cod. pen. è
infatti circoscritta ai casi in cui la causa sopravvenuta inneschi un rischio
nuovo e del tutto incongruo rispetto al rischio originario, attivato dalla prima
condotta (Cass., Sez. 4, n. 25689 del 3-5-2016, Rv. 267374; Sez. 4, n. 15493 del
10-3-2016, Pietramala, Rv. 266786; n. 43168 del 2013, Rv. 258085). Non può,
pertanto, ritenersi causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare
l'evento, il comportamento imprudente di un soggetto, nella specie il
lavoratore, che si riconnetta ad una condotta colposa altrui, nella specie a
quella del datore di lavoro (Cass., Sez. 4, n. 18800 del 13-4-2016, Rv. 267255;
n. 17804 del 2015, Rv. 263581; n. 10626 del 2013, Rv. 256391). L'interruzione
del nesso causale è infatti ravvisabile esclusivamente qualora il lavoratore
ponga in essere una condotta del tutto esorbitante dalle procedure operative
alle quali è addetto ed incompatibile con il sistema di lavorazione ovvero non
osservi precise disposizioni antinfortunistiche. In questi casi, è configurabile
la colpa dell'infortunato nella produzione dell'evento, con esclusione della
responsabilità penale del titolare della posizione di garanzia (Cass., Sez. 4,
27-2-1984, Monti, Rv. 164645; Sez. 4, 11-2-1991, Lapi, Rv. 188202) . Ma abbiamo
visto come, nel caso in disamina, l'operazione che stava effettuando il
lavoratore rientrasse appieno nelle sue attribuzioni. Si esula pertanto
dall'ambito applicativo dell'art. 41, comma 2, cod. pen.
5. In ordine all'ultimo motivo di ricorso occorre osservare come le
determinazioni del giudice di merito in ordine al trattamento sanzionatorio
siano insindacabili in cassazione ove sorrette da motivazione esente da vizi
logico-giuridici. Nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata è
senz'altro da ritenersi adeguata, avendo la Corte territoriale fatto riferimento
alla gravità della condotta omissiva tenuta dall'imputato, al quale comunque
erano state concesse, già in primo grado, le attenuanti generiche, e alla
drammaticità delle conseguenze derivatene, da cui è scaturita la morte del
lavoratore.
5. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila,
determinata secondo equità , in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle
ammende.
così deciso in Roma il 3.10.2018
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