Civile Ord. Sez. 6 Num. 31176 Anno 2018 Presidente: CURZIO PIETRO Relatore: FERNANDES GIULIO
Civile Ord. Sez. 6 Num. 31176 Anno 2018 Presidente: CURZIO PIETRO Relatore:
FERNANDES GIULIO Data pubblicazione: 03/12/2018
Rilevato
che, con sentenza del 20 dicembre 2016, la Corte d'Appello di Bari In riforma
della decisione del Tribunale di Trani - che aveva accolto la domanda proposta
da V.C. nei confronti dell'INAIL riconoscendo al ricorrente il diritto
all'indennizzo per il danno biologico derivato da malattia professionale
quantificato nella misura del 10% - rigettava la domanda del V.C.;
che la Corte territoriale - dopo aver riportato integralmente il contenuto della
consulenza tecnica nuovamente disposta in appello che aveva escluso la
sussistenza del nesso eziologico tra la ipoacusia di tipo sensoriale bilaterale
da cui l'assicurato era affetto e l'attività da lui svolta (addetto alla
manutenzione dei binari) - aveva affermato di condividerne le conclusioni perché
sorrette da ampia motivazione e fondate su rigorose valutazioni medico-legali;
che per la cassazione di tale decisione propone ricorso il V.C. affidato a due
motivi cui resiste con controricorso l'istituto;
che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380-bis cod.
proc. civ., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di
fissazione dell'adunanza in camera di consiglio;
che il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ. in cui
dissente dalla proposta del relatore ed insiste per l'accoglimento del ricorso;
Considerato
che: con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione
degli artt. 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ. nonché 111
Cost. ( in relazione all'art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.) in
considerazione dei profili di illogicità e carenza di motivazione, avendo la
Corte territoriale sostituito la valutazione dei fatti e delle ragioni di
diritto del ricorrente con la pedissequa trascrizione della consulenza tecnica
disposta in appello alla quale si era adeguata, obliterando del tutto i
contenuti della consulenza espletata in primo grado; con il secondo motivo viene
dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione
tra le parti ( in relazione all'art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.)
per avere la Corte di merito, nell'aderire pedissequamente al contenuto
dell'elaborato peritale, obliterato gli esiti della prova testimoniale espletata
in primo grado da cui era emersa l'esposizione a rumore del V.C. nel corso
dell'attività lavorativa laddove avrebbe dovuto procedere ad una più attenta
verifica delle argomentazioni contenute nella consulenza secondo cui l'ipoacusia
bilaterale non rientrava pedissequamente tra le malattie tabéllate e non vi era
prova documentale fonometrica che l'attività svolta dal V.C. avesse i "connotati
quali-quantitativi tecnico temporali o certificati in termini fisico-acustici e
fonometriche, per generare una esposizione ad un rischio otopatico da rumore
lesivo", conclusioni queste neppure supportate da nuovi esami diagnostici
specialistici e neppure da una nuova visita medica ma fondate solo su un
tracciato audiografico del 25 marzo 2001; che il primo motivo è infondato in
quanto la Corte di appello nel condividere le argomentazioni del consulente
tecnico d'ufficio in merito alla non riconducibilità della malattia denunciata
dal V.C. all'attività dallo stesso svolta le ha ritenute corrette così fornendo
una motivazione sintetica ma adeguata visto che nell'elaborato peritale
trascritto nella impugnata sentenza sono precisate in modo chiaro le ragioni
oggettive per le quali le conclusioni dell'ausiliare nominato in primo grado non
erano state condivise;
che il secondo motivo è infondato nella parte in cui lamenta il malgoverno degli
artt. 115 e 116 cod. proc. civ. cod. civ. questione questa che può porsi solo
allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito: - abbia posto a base
della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d'ufficio al di
fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; - abbia fatto
ricorso alla propria scienza privata ovvero ritenuto necessitanti di prova fatti
dati per pacifici; - abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente
apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena
prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece
siano soggetti a valutazione; - abbia invertito gli oneri probatori (Cass. n.
27000 del 27/12/2016; Cass. n. 13960 del 19/06/2014; Cass. n. 26965 del
20/12/2007). Ed infatti nessuna di tali situazioni ricorre nel caso in esame in
cui la Corte di appello nel far proprie le argomentazioni del consulente tecnico
d'ufficio sulla esposizione del V.C. a rumore nello svolgimento dell'attività
lavorativa le ha ritenute corrette, così dimostrando di aver valutato le
risultanze istruttorie come emergenti dalla prova testimoniale assunta e dalla
documentazione acquisita agli atti. Invero, nella consulenza sono specificamente
indicate le ragioni per le quali l'esposizione a rumore - pure emergente dalla
prova testimoniale - non era stata considerata causa della ipoacusia da cui il
V.C. era affetto (non risultando il livello del rumore e la durata
dell'esposizione, ma soprattutto perché l'esame audiometrico agli atti non era
"assolutamente compatibile con la patogenesi esclusiva da trauma sonoro (o da
rumore)". Inoltre, come già anticipato nell'esame del primo motivo, il
consulente ha precisato le ragioni per le quali aveva dissentito dalle
conclusioni della prima consulenza tecnica evidenziando come "... l'esordio,
certificato in anamnesi, dell'ipoacusia , negli anni 1996 -1996, non è
compatibile con una sordità da rumore professionale, tenendo conto della
costanza lavorativa. Infatti il sig. V.C. risultava assunto già nel 1969 ( 27
anni prima)..." e sottolineando che "... i deficit uditivi evolvono subito nei
primi 5-10 anni e poi si stabilizzano..." e che non era comprensibile come
"...con un ipotetico minore rischio, poiché già mutato nel 1990 ( per cambio
mansione, passato da operaio di armamento ad operaio agli impianti elettrici, e
sempre non in capannoni o ambienti chiusi, bensì all'esterno), solo nel
1996-1997 insorga una ipoacusia peraltro valutata audiometricamente solo
all'atto del pensionamento , 2001, e mal prima...". Infine, il consulente
conclude con un rilievo che, da solo, sarebbe stato sufficiente a supportare il
rigetto della domanda e cioè che, pur ammettendo la sussistenza del nesso di
causalità tra l'attività lavorativa e la malattia, il danno biologico si sarebbe
potuto quantificare in misura pari al 4.75%;
che il motivo, laddove lamenta un omesso esame di un fatto decisivo per il
giudizio, non presenta i requisiti di ammissibilità richiesti dall'art. 360,
primo comma, n. 5 così come novellato nella interpretazione fornitane dalle
Sezioni unite di questa Corte ( SU n. 8053 del 7 aprile 2014) finendo: a) con il
lamentare il vizio di motivazione insufficiente in quanto tale non più
censurabile (si veda la citata Cass., S.U., n. 8053/14 secondo cui il controllo
della motivazione è ora confinato sub specie nullitatis, in relazione al n. 4
dell'art. 360 cod. proc. civ. il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di
una sostanziale carenza del requisito di cui all'art. 132, n. 4, cod. proc.
civ., esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di 'sufficienza' della
motivazione); b) con il denunciare l'omesso esame della provata esposizione a
rischio e la negligenza del datore di lavoro stante la mancanza di
documentazione relativa a valutazioni aziendali del rischio e dei livelli di
rumorosità che non poteva pregiudicare il lavoratore laddove, l'esposizione al
rischio era stata considerata (come emerge da quanto sopra esposto) mentre la
negligenza del datore di lavoro non è un fatto ma un giudizio peraltro neppure
decisivo;
che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va rigettato;
che le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono
poste a carico del ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo;
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall'art. 13,
comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall'art. 1, comma 17, della
legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) trovando tale
disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30
gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n.
10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente
giudizio liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3.000,00 per compensi
professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n, 115 del 2002 dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente
dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per
il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, l'11 ottobre 2018
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