Cassazione Penale, Sez. 4, 08 ottobre 2018, n. 44890 -
Fatto
1. Con sentenza resa il 4 luglio 2017, la Corte d'appello di Trieste ha
parzialmente riformato, modificandone in mitius il trattamento sanzionatorio e
confermandola nel resto, la condanna emessa all'esito del giudizio di primo
grado dal Tribunale di Pordenone nei confronti di RB , in relazione al reato di
lesioni personali colpose, contestato come commesso in danno del dipendente GD
dal 2008 in poi e consistito, secondo l'imputazione, nell'avere cagionato al D.
una marcata patologia psichiatrica nell'ambito del posto di lavoro, ponendo in
essere le condotte ivi descritte.
Pi? in particolare si contesta al B di avere tenuto, nei confronti del suddetto
dipendente, una serie di comportamenti vessatori e persecutori, sia mediante
espressioni ingiuriose, sia mediante pressioni per lo svolgimento di attivit‡
lavorative dopo che il D era rimasto in regime di malattia per alcuni periodi,
sia mediante continue e ripetute contestazioni disciplinari spesso a contenuto
del tutto pretestuoso. Ne derivava a carico del lavoratore, sempre secondo la
contestazione, l'insorgere dapprima di una sindrome ansioso depressiva su base
reattiva, indi il manifestarsi di un disturbo depressivo maggiore.
I comportamenti tenuti dal B nei confronti del D sono stati confermati, secondo
la Corte di merito, da una pluralit‡ di fonti di prova anche dichiarative; gli
esiti patologici che, secondo imputazione, ne derivavano sono stati confermati
attraverso líacquisizione di ulteriori elementi probatori (diagnosi del Centro
di Salute Mentale di Trieste, provvedimenti dell'INAIL e dell'Istituto di
Medicina del Lavoro di Pordenone, consulenze del P.M, e della parte civile,
affidate rispettivamente al dott.Omissis e al dott. Omissis, deponenti altresÏ
per la riferibilit‡ causale delle patologie riscontrate sul D. ai comportamenti
tenuti dal B nei suoi confronti.
2. Avverso la prefata sentenza ricorre il B ; il ricorso È affidato a tre motivi
di lagnanza.
2.1. Con il primo, l'esponente denuncia violazione di legge, vizio di
motivazione e mancata assunzione di prove decisive. CiÚ, in primo luogo, con
riferimento al fatto che l'affermazione di penale responsabilit‡ non trova
corrispondenza logica e argomentativa nelle prove testimoniali raccolte, per lo
pi? soggetti che dipendevano dal B in epoca antecedente rispetto ai fatti di
causa (ossia i testi F , che lavorÚ per il B fino al 2007, o R che dipendeva dal
B fino al 2003, e A suocero della persona offesa - che lavorÚ per il B fino al
2004); tali testimonianze, quindi, non forniscono riscontro alle dichiarazioni
della persona offesa, costituitasi parte civile; di contro, non e stato dato
ingresso a prove decisive, costituite dall'esame degli altri dipendenti
dell'azienda operanti all'epoca dei fatti. Quanto alla documentazione acquisita
agli atti, essa nell'essenziale si riferisce alle condizioni di salute della
persona offesa, e non alla condotta del B o al nesso causale tra essa e
l'evento: al riguardo, la relazione del Servizio di Medicina del Lavoro
richiamata in sentenza collega il manifestarsi della patologia a molestie in
ambito lavorativo "sulla base di quanto riferito" dal D.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione alla sussistenza del nesso causale tra condotta ed
evento: viene in particolare evidenziato che il consulente medico del P.M.,
dott. L , ha lamentato l'indisponibilit‡ del D. a sottoporsi ai test e ha
riferito di non avere rilevato elementi autenticamente depressivi, traendone la
conseguenza che non fosse condivisibile la diagnosi di depressione maggiore, e
che si fosse piuttosto in presenza di una "sindrome ansiosa, in buona parte
reattiva, ma con buona probabilit‡ di tipo costituzionale"; quanto alla
rilevanza causale delle condotte lamentate dal D., il dott. L. ha ravvisato
discrepanze tra le dichiarazioni della persona offesa e gli atti e documenti in
suo possesso, giungendo a parlare anche di un comportamento teatrale e non del
tutto spontaneo dello stesso D . Su tale apporto tecnico al sapere processuale
la motivazione della sentenza impugnata si appalesa del tutto carente.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si denunciano infine violazione di legge e
vizio di motivazione in riferimento al trattamento sanzionatone, motivato con
formule di stile, specie se si considera che esso si approssima al massimo
edittale; pressochÈ immotivate sono poi le statuizioni circa il diniego delle
attenuanti generiche e il rigetto della riduzione della provvisionale. Infine si
censura quanto asserito dalla Corte triestina circa la prescrizione del reato,
che secondo la sentenza impugnata decorrerebbe dalla cessazione del rapporto di
lavoro, laddove in realt‡ consta in atti che le condotte contestate al B. si
esauriscono assai prima (2008-2009).
Diritto
1. Va in primo luogo evidenziato che Ë, ad oggi, decorso il termine di
prescrizione del reato.
Come pi? volte affermato dalla giurisprudenza di legittimit‡, e come del resto
riconosciuto nella stessa sentenza impugnata, nel reato di lesioni personali
colpose (anche in ambito lavorativo) la prescrizione inizia a decorrere dal
momento dell'evento, ovvero dal momento di insorgenza della malattia in fieri
anche se non ancora stabilizzata o divenuta irreversibile o permanente (Sez. F,
n. 3148 del 09/09/2014 - dep. 2015, Ravelli ed altro, Rv. 261991; Sez. 4,
Sentenza n. 8904 del 08/11/2011 - dep. 2012; Torrelli, Rv. 252436; Sez. 4, n.
37432 del 09/05/2003, Monti e altri, Rv. 225989).
Non È perciÚ condivisibile il riferimento della Corte di merito alla data di
cessazione del rapporto (8 dicembre 2011) che non risulta invero ancorata nÈ ad
alcuna specifica condotta ulteriormente lesiva dell'odierno ricorrente, nÈ ad
alcuna specifica interferenza con il progredire della patologia psichica da cui
fu colpito il D ; vi si d‡ invece atto, quale ultima fase documentata del
progredire della patologia, di una "evoluzione dell'evento patologico nel senso
dell'aggravamento" in data 6 agosto 2010 (data dalla quale sarebbe ad oggi
comunque decorso il termine prescrizionale); senza contare che È perlomeno
dubbia, alla luce delle considerazioni medico-legali del consulente del P.M.,
l'evoluzione del quadro diagnostico in termini riconducibili al disturbo
depressivo maggiore.
Alla luce delle considerazioni dianzi esposte, e considerato che - per come si
vedr‡ - il ricorso non puÚ dirsi manifestamente infondato, deve constatarsi
l'intervenuta prescrizione del reato, con conseguente annullamento senza rinvio
della sentenza impugnata ai fini penali.
CiÚ premesso, si procede nell'esame dei motivi di ricorso.
2. Il primo e il secondo motivo sono infondati.
2.1. Quanto al primo motivo, a prescindere dalle osservazioni del ricorrente
circa il fatto che alcuni dei testimoni dell'accusa avrebbero cessato di
lavorare alle dipendenze del B da epoca antecedente rispetto ai fatti di causa,
deve rilevarsi che la motivazione della sentenza impugnata fornisce anche altri
e non meno significativi elementi di riscontro alle dichiarazioni della persona
offesa, con particolare riguardo alle documentazioni disciplinari, relative alle
contestazioni mosse alla stessa p.o., e a quelle sanitarie riguardanti le
condizioni del D ; nonchÈ ai contributi dichiarativi del teste Omississ e degli
stessi consulenti di parte, che hanno dato conto de! disagio manifestato dallo
stesso D nell'ambito dell'ambiente lavorativo. Quanto poi alla lagnanza riferita
alla mancata escussione di altri dipendenti dell'impresa del B , essa non offre
contezza della decisivit‡ dellíassunzione di tali fonti di prova orali; ed È
noto che per "prova decisiva", ai sensi e ai fini di cui all'art. 606, comma 1,
lettera d), cod.proc.pen., deve intendersi la prova che, confrontata con le
argomentazioni contenute nella motivazione, si riveli tale da dimostrare che,
ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa pronuncia; ovvero
quella che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la
struttura portante (tra le tante vds. Sez. 4, n. 6783 del 23/01/2014, Di Meglio,
Rv. 259323; Sez. 3, n. 27581 del 15/06/2010, M., Rv. 248105). La mancata
dimostrazione della portata decisiva delle prove non assunte in appello, che
costituiva onere dell'odierno ricorrente, svuota quindi di contenuto la lagnanza
espressa sul punto.
2.2, Con precipuo riguardo al secondo motivo di ricorso, esso È a sua volta
infondato: una volta ravvisata l'astratta riferibilit‡ causale delle patologie
psichiche (integranti sicuramente la nozione di ''lesioni") alle condizioni cui
la persona offesa era sottoposta dal datore di lavoro (con condotte delle quali
e stata data comunque dimostrazione, anche per via documentale), la sentenza
impugnata pone l'accento sull'assenza di dimostrazione circa ipotetici decorsi
causali alternativi e sulla non emersione di eventuali fattori causali
sopravvenuti, idonei a interrompere il nesso eziologico nei termini stabiliti
dall'art. 41, comma 2, cod.pen.. Su tale assunto non riverbera effetto il
mancato riconoscimento del disturbo depressivo maggiore da parte del consulente
del P.M.: peraltro il dott. L. ha invece confermato che la p.o. era affetta da
una sindrome ansiosa su base "reattiva", che quindi non presenta andamento
esclusivamente "endogeno" e meglio si attaglia sul piano della riconducibilit‡
causale - alle condizioni vessatorie cui il D era sottoposto dal B , delle quali
la sentenza impugnata riferisce ampiamente e dettagliatamente, e che lo stesso
consulente del P.M. sostanzialmente conferma sulla base di quanto a lui riferito
dal D.
3. Deve ritenersi infondato anche il terzo motivo di ricorso, relativo al
trattamento sanzionatone e alle statuizioni civili.
Pur a fronte del peculiare onere motivazionale che grava sul giudice che applica
una sanzione prossima al massimo edittale (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 36104 del
27/04/2017, Mastro e altro, Rv. 271243; Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013,
Pasquali, Rv. 258356), deve riconoscersi che tale onere È stato, nel complesso,
convenientemente assolto dalla Corte triestina, la quale ha fatto ampio
riferimento sia alla gravit‡ del fatto, sia alla reiterazione e alla
vessatoriet‡ delle condotte, sia agli esiti lesivi riportati dalla persona
offesa. Circa il diniego delle attenuanti generiche, vi È espresso riferimento,
da parte della Corte di merito, ai precedenti anche specifici dell'imputato
(riferimento pienamente idoneo, sul piano motivazionale, a giustificare il
diniego delle suddette attenuanti: cfr. Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De
Cotiis, Rv. 265826). Infine, va ricordato che non È impugnabile con ricorso per
cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione
e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura
discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata (Sez. 3, n.
18663 del 27/01/2015, D. G., Rv. 263486).
4, Tanto premesso, va considerato peraltro quanto gi‡ rilevato circa la data di
commissione del reato e il decorso del termine di cui agli arti. 157 e ss.
cod.pen.; ed invero, non potendosi affermare che il ricorso sia manifestamente
infondato e perciÚ inammissibile (cfr. a contrario, tra le tante, Sez. U,
Sentenza n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266), la sentenza impugnata va
annullata agli effetti penali perchÈ il reato È estinto per prescrizione; va
invece rigettata la sentenza agli effetti civili.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali per essere il
reato estinto per prescrizione.
Rigetta il ricorso agli effetti civili.
Cosi deciso in Roma, il 18 settembre 2018.